Non siamo ancora, probabilmente, al punto di rottura, a quello che inglesi e americani usano chiamare, nel linguaggio bellico e anche politico, come “breaking point”. Ma il governo di “Giuseppi 2”, il cosiddetto “avvocato del popolo” quando è balzato sulla scena politica italiana, sta aprendo la grande falla sul “dossier giustizia”.
Sta emergendo in tutta la sua durezza la contrapposizione tra il cosiddetto giustizialismo e il normale, civile garantismo di un Paese democratico. La contrapposizione non attraversa solo l’attuale governo, piuttosto frastornato, ma è trasversale all’interno di diverse forze politiche. Il fatto più sconcertante è che il cosiddetto giustizialismo, spesso negato o ritenuto inesistente, è un neologismo che caratterizza un Paese giuridicamente arretrato, che sembra essersi dimenticato non solo di Cesare Beccaria, che tutti ricordano spesso anche a vanvera, ma che dimentica anche una tradizione di giustizia occidentale che si è consolidata nei tempi, partendo addirittura dalle “verrine” ciceroniane ai tempi della repubblica romana, per passare alla conquista della “certezza del diritto” consolidatasi con l’illuminismo e le rivoluzioni contro lo Stato assolutista.
Sottolineiamo “certezza del diritto”, non della populistica e grottesca “certezza della pena”, che alberga nel cuore e sulla bocca dei neofiti della giustizia tribale, forse con una nevrotica nostalgia della religione azteca, che si basava sul “politicamente corretto” ma anche sui sacrifici umani per ingraziarsi l’umore dei demoni–dei, anche alla vigilia dell’arrivo di Hernán Cortés e della Conquista.
Sul banco della contesa, al momento, c’è la prescrizione da eliminare, che il guardasigilli “grillino” Alfonso Bonafede predica dalla mattina alla sera, neanche fosse ispirato dalla Pizia di Delfi nei panni di Piercamillo Davigo. Ma l’eliminazione della prescrizione è solo il primo passo per l’instaurazione del definitivo “feudalesimo” giudiziario italiano, con i pm elevati al rango di valvassori, indipendenti da tutto, e l’aggiramento della riforma completa della giustizia italiana secondo il dettato del nuovo articolo 111 della Costituzione, determinato da una risoluzione del Parlamento europeo il 4 luglio 1997, sul rispetto dei diritti umani, che è la continuazione dei principi della Cedu, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, che risale addirittura al 1950, ma che l’Italia ha “stranamente sorvolato” per cinquanta anni.
Ma la prescrizione è solo la premessa a una valanga di problemi giudiziari: il giusto processo, la reale condizione di parità tra le parti, il giudice terzo, ahimè per il pool di “Mani pulite” anche la separazione delle carriere, l’onere della prova a carico dello Stato e la condanna dell’imputato solo in assenza anche di un ragionevole dubbio.
Un’autentica rivoluzione culturale, giuridica, politica e sociale che sta mettendo il “governo della paura del voto” in gravi difficoltà.
Il premier, incravattato e “impochettato”, lancia e sospende continuamente un vertice, un giorno sì e un giorno no. Il Guardasigilli va diritto per la sua strada e non accetta “ricatti”, il turbolento e indisciplinato Matteo Renzi, contrario, minaccia di votare contro ma, acrobaticamente, di non togliere la fiducia, il Pd è critico a metà, Leu tace o non si sente. Tutti predicano una mediazione e “Giuseppi 2” è il più adatto a sbizzarrirsi “nella mediazione della mediazione”: è un mediatore al cubo che rischia l’immobilismo cronico. Ma sono in molti a cercare la quadratura del cerchio, che alla fine partorirà un rinvio, tanto per cambiare.
La giustificazione di eliminare la prescrizione per eliminare la massa dei processi pendenti, alla prova dei numeri, rischia però di essere un boomerang per il governo La situazione della giustizia italiana, ha scritto di recente Sergio Luciano, è relegata al 132esimo posto su 198 censiti nell’ultima classifica del “The Global Competitiveness Report 2019”, alla faccia di alcuni extraterrestri televisivi che spiegano invece che la giustizia italiana funziona benissimo e viene addirittura studiata da Paesi di common law. Forse sarebbe giusto non “prescrivere mai” questi extraterrestri.
Non è proprio esatta l’analisi di Davigo sugli avvocati che la “tirano lunga” per guadagnare dai clienti facoltosi. Fin dal 1992, gli stessi americani (anche se interessati a un ribaltamento politico), rimasero sbigottiti di fronte ai metodi usati dalla magistratura italiana e chiesero al loro giudice della Corte suprema, Antonin Scalia, un giudizio che fu gravemente negativo.
È in realtà l’impianto complessivo della giustizia italiana che non funziona, tanto da scatenare una delle più irrituali forme di protesta all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Avvocati che hanno abbandonato l’aula a Milano quando ha preso la parola Piercamillo Davigo in rappresentanza del Csm (l’organismo venuto alla ribalta qualche tempo fa con il “caso Palamara”, ma di cui non si parla più, chissà perché). Altrove ci sono stati avvocati che si sono presentati ammanettati, altri che non hanno platealmente indossato la toga.
Infine ci sono stati pure magistrati, procuratori generali, che hanno bollato di incostituzionalità l’eliminazione della prescrizione. Insomma, il Guardasigilli non ha proprio portato concordia nei palazzi di giustizia, forse non ha ben presente quello che sta maturando da anni e non è aggiornato con l’evoluzione della giurisdizione nei Paesi democratici. Dice un grande avvocato milanese: “La protesta non ha onorato certo una liturgia consolidata, ma alla fine me ne sono uscito anch’io. Bisognava evitare, dopo quello che aveva detto, che Davigo venisse a Milano oppure andasse anche in altre sedi”.
Ci sono numeri diversi, ma comunque alti in Italia tra persone destinatarie di avvisi di garanzia e anche di rinviati a giudizio che hanno visto violati i loro diritti alla riservatezza, stabiliti sempre dall’articolo 111 della Costituzione, e occorrerà fare finalmente un calcolo preciso, che esiste sicuramente, su chi ha dovuto subire processi che sono durati anni e che poi sono stati assolti.
Fatti questi ragionamenti sul dossier giustizia, appare tuttavia poco probabile una crisi di governo sulla prescrizione, ma se si unisce questo ostacolo alla massa intricata di problemi che il governo del terrore elettorale deve risolvere (recessione economica, concessioni autostradali, Alitalia, nessuno slancio programmatico, 150 o più vertenze sindacali aperte) può anche capitare che la prescrizione diventi una nemesi della svolta epocale del 1992 e, dopo tanti anni, si riveli una hybris del Guardasigilli, che nel frattempo è diventato il capo delle delegazione pentastellata nel governo.
Di certo, anche se si eviterà una crisi e il partito del “vaffa” continuerà a occupare tante sedie parlamentari, l’hybris, l’antica vendetta immaginata dai greci per i tracotanti, sarà sempre in agguato.