Il governo Draghi inizia a muovere i primi concreti passi sulla giustizia. Illustrando il documento di 22 pagine contenente le “linee programmatiche sulla giustizia” innanzi alla relativa Commissione della Camera, la neo-ministra Cartabia, sottolineando prudentemente la centralità del Parlamento, ha ulteriormente ribadito come occorra affrontare il lascito del precedente Governo, verificando quanto può essere salvato e implementato. Nulla di nuovo, verrebbe da dire.



Tuttavia molto convincente appare l’atto di realismo “politico” da cui prende le mosse il documento programmatico, ovvero l’esplicitazione dei dati di contesto di cui occorre tenere conto, fra i quali il fattore Europa e la pandemia, in considerazione dei quali sarebbe sleale impegnarsi a delineare programmi di riforma inattuabili. Da qui, l’impegno ad affrontare esclusivamente i problemi più urgenti e improcrastinabili, evidentemente nella piena consapevolezza della estrema eterogeneità che caratterizza la maggioranza del Governo. Se parlar chiaro è fatto per gli amici, abbiamo trovato un nuovo amico, di cui non possiamo non apprezzare franchezza e realismo. Riponiamo allora di buon grado sogni ambiziosi e visioni di riforme realmente programmatiche, ragionando sullo stretto indispensabile.



Sul piano delle indagini preliminari ben venga, allora, il richiamo alla necessità che l’avvio delle stesse sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano da strumenti mediatici per l’effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza. Certo, non sarebbe un obiettivo di poco momento riuscire nell’impresa.

Altrettanto condivisibile, come già espresso in altre occasioni, è l’affermazione che rendere i processi rapidi risolverebbe il nodo della prescrizione, relegandola a evento eccezionale. Per realizzare lo scopo, nella prospettazione del ministro, occorre muoversi seguendo tre direttrici fra loro inscindibili: piano organizzativo, dimensione extraprocessuale e quella endoprocessuale. Quindi, riorganizzazione della macchina amministrativa, valorizzazione del personale, digitalizzazione, edilizia giudiziaria e architettura penitenziaria.



Il principale strumento di potenziamento della macchina sarebbe garantito dall’effettiva istituzione dell’Ufficio del processo, un modello organizzativo ispirato ai clerks dei Paesi anglosassoni, in cui si affianca al giudice uno staff di assistenti incaricati di svolgere ricerche e predisporre bozze dei provvedimenti. Indubbiamente una scommessa stimolante, che potenzia quanto già previsto da una legge del 2012 che per la verità non ha goduto di particolare successo.

Un passaggio è stato poi dedicato al rafforzamento del ricorso ai riti alternativi, alla deflazione sostanziale, al rafforzamento di istituti che si sono rilevati nella prassi particolarmente effettivi, come la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato e la non punibilità per particolare tenuità del fatto e alla rivisitazione del giudizio di appello; spunti tutti pienamente condivisibili.

Molto interessante è il richiamo a sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, rispetto alla quale, ha ricordato la ministra, le più autorevoli fonti europee e internazionali ormai da tempo hanno stabilito principi comuni utili all’elaborazione di paradigmi di giustizia riparativa che permettano alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.

Opportuno oltre che condivisibile il richiamo ad una reale riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”, ha affermato la ministra, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio, esplicitando così il convincimento, avvalorato da dati statistici consolidati, che la qualità della vita dell’intera comunità penitenziaria, di chi vi opera, con professionalità e dedizione, e di chi vi si trova per scontare la pena, è un fattore direttamente proporzionale al contrasto e alla prevenzione del crimine. Una autentica applicazione del principio contenuto nell’art. 27 della Costituzione potrà fungere da migliore strumento per il contrasto alla recidivanza. Petizioni di principio sulle quali non si può che essere d’accordo ma che, temiamo, potrebbero non essere così largamente condivise all’interno dell’attuale maggioranza governativa.

Altro capitolo del discorso programmatico della ministra ha riguardato il Csm. Scoraggiare le logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di un organo di rilevanza costituzionale è l’obiettivo che si vorrebbe perseguire attraverso il “rinnovo parziale” dello stesso organo di governo autonomo della magistratura. Ogni 2 anni, è la proposta del ministro, si dovrebbe procedere a rinnovare la metà dei laici e dei togati. Proposta interessante ma forse non risolutiva. Inoltre, non è stato toccato il connesso tema del rafforzamento della responsabilità dei giudici, ma siamo sicuri che la questione non verrà trascurata. Per quanto delicato e scottante, il problema della corretta gestione dell’organo di autogoverno deve ora essere affrontato con la scure, sradicando malcostumi che, continuiamo a ritenere, abbiamo negli anni passati integrato condotte oltre che eticamente scorrette anche di possibile rilievo penale. Prima o poi se ne riuscirà a parlare senza remore.

Infine, va segnalata con interesse il passaggio che è stato dedicato alle norme sulle lobby e sul conflitto d’interessi. Il percorso legislativo già svolto ha visto il nostro paese dotarsi progressivamente di strumenti conformi alle convenzioni internazionali; occorre tuttavia fare i conti con alcune lacune che caratterizzano la rappresentanza degli interessi particolari presso decisori pubblici, ovvero il lobbying e il conflitto d’interessi che devono essere definitivamente affrontate e colmate dall’attuale governo.

Una valutazione critica va infine rivolta all’assortimento della commissione di studio scelta da Cartabia per il varo della riforma. La composizione presenta un evidente scompenso: tanti magistrati e accademici, questi ultimi apprezzabilmente giovani e di alto profilo; scarsa invece la presenza degli avvocati, la cui preziosa esperienza quotidiana nella gestione della macchina giudiziaria andrebbe valorizzata.

Non cerchiamo la perfezione, ha concluso la ministra, ma le migliori risposte possibili nelle condizioni date. Siamo in tempo di pandemia e di governissimi, occorre sapersi accontentare, aggiungiamo noi. Di sicuro l’approccio che si palesa dall’intervento svolto in commissione Giustizia appare fortunatamente ben distante dagli slogan fini a se stessi e dai toni spesso coniugati dal precedente ministro, segnandone una evidente distanza, a cominciare dal carcere e dalla famosa formula della certezza della pena, cavallo di battaglia del giustizialismo dei 5 Stelle, che il nuovo ministro corregge spiegando come la necessità di una pena effettiva non coincida con quello della necessità del carcere.

Le premesse per far bene ci sono, caro ministro. Una sola raccomandazione: con il coraggio che la contraddistingue, metta mano alla mala gestione del Csm. Per il resto, di certo potremo contare sulla competenza e la tenacia del riformismo vero, quello che va al cuore dei problemi senza trascurare la realtà politica e i rapporti di forza dentro il Governo. In bocca al lupo.

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