Con il decreto legge n. 162/2022 il Governo ha inteso disciplinare in via d’urgenza diversi e delicati snodi in materia di giustizia penale.
Per un verso ha disposto il rinvio sino al 30 dicembre (facendo ben attenzione a non mancare la scadenza improrogabile per la concessione dei fondi del Pnrr) dell’intera disciplina del processo penale contenuta nella cosiddetta riforma Cartabia, per altro verso è intervenuto nella delicatissima questione, già oggetto di valutazione di incostituzionalità da parte del Giudice delle leggi, relativa al divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati alla pena dell’ergastolo “ostativo”; infine ha introdotto una nuova fattispecie incriminatrice di pesantissima caratura sanzionatoria per impedire i raduni illegali.
L’intervento governativo è stato immediatamente oggetto di ripetute e vibrate critiche non solo da parte dell’opposizione politica, ma anche di autorevoli e qualificati operatori del diritto. Basti pensare, tra le tante, alla durissima presa di posizione dell’Unione delle Camere Penali o al Comunicato dell’Associazione degli studiosi di diritto penale a proposto dei pretesi profili di incostituzionalità del decreto legge, tanto sul piano dello strumento di normazione prescelto dall’esecutivo quanto sul contenuto del provvedimento. In particolare, con riferimento alla norma “anti-rave party” sono state criticate la previsione di pene altissime ed idonee a consentire l’utilizzo di invasivi strumenti di indagine e l’eccessiva indeterminatezza della stessa; in merito a quest’ultimo aspetto lo stesso Governo ha preannunciato possibili modifiche in sede di conversione.
In attesa di conoscere quale sorte avranno e quali effetti conseguiranno dalle nuove norme, è bene riflettere sugli aspetti più profondi sottesi all’intervento governativo, e – in definitiva – sulla concezione di “giustizia” che parrebbe trasparire.
1. Nel nostro ordinamento penale vi sono già specifici strumenti sanzionatori per impedire “l’arbitraria invasione di terreni ed edifici altrui, pubblici o privati” (si veda l’art. 633 del codice penale). Lo stesso sgombero del “rave party” di Modena, secondo quanto si è appreso dalla stampa, è intervenuto il 30 ottobre 2022, ossia il giorno prima dell’entrata in vigore del Dl 162/2022 e, quindi, in forza della normativa già esistente.
In questo senso è certamente criticabile l’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza, visto e considerato che l’art. 77 della Costituzione consente al Governo di ricorrervi in “casi straordinari di necessità e di urgenza”.
2. Neppure sono chiare le ragioni per le quali il Governo ha inteso differire in blocco, sempre mediante decretazione d’urgenza, l’entrata in vigore della riforma Cartabia. Quelle difficoltà organizzative degli uffici giudiziari che il Dl richiama a giustificazione del rinvio potrebbero al più comprendersi in relazione alle numerose novità introdotte in tema di indagini preliminari (non a caso, proprio su quel fronte si erano concentrate le segnalazioni da parte di diverse Procure della Repubblica circa le possibili criticità che l’immediata applicazione delle nuove norme avrebbe comportato). Non si comprende invece quali difficoltà organizzative si dovrebbero incontrare nel dare immediata attuazione, ad esempio, all’estensione del catalogo dei reati procedibili a querela o alle modifiche in tema di riti speciali, o ancora a quelle disposizioni che consentirebbero già al giudice della cognizione di concedere, in caso di condanna e a talune condizioni, le misure alternative alla pena detentiva. L’estensione del rinvio anche a quelle parti della riforma Cartabia che non necessitano di alcun adeguamento strutturale ed organizzativo da parte degli uffici giudiziari, induce a sospettare che in realtà si voglia procedere ad una riscrittura del “nuovo processo” e soprattutto ad un depotenziamento delle norme che più ne caratterizzano l’impronta: la certezza della pena non equivale alla certezza del carcere, e perciò il giudice nella sua discrezionalità è chiamato a valutare se, in caso di condanna, non sia più opportuno ed idoneo a consentire il recupero del condannato la previsione di misure alternative alla detenzione (ad esempio, i lavori di pubblica utilità). Se questo sospetto dovesse essere fondato, vi sarebbe il rischio di un ritorno ad un recente passato di matrice giustizialista che si sperava definitivamente tramontato con l’avvento della riforma Cartabia.
3. Il Governo è infine intervenuto sul cosiddetto “ergastolo ostativo” alla concessione dei benefici penitenziari nei confronti di coloro che siano stati condannati a detta pena (si tratta sostanzialmente di soggetti che si sono resi responsabili di delitti gravissimi, commessi nel contesto di legami con associazioni eversive o associazioni di stampo mafioso), e lo ha fatto anche qui in via d’urgenza, pur essendo trascorso oltre un anno da che la Corte Costituzionale, dopo avere evidenziato plurimi profili di illegittimità costituzionale nella previgente disciplina, aveva invitato il legislatore a formulare un’organica e definitiva normazione dell’istituto, compatibile ovviamente con i principi dettati dalla stessa Corte.
Il Giudice delle leggi aveva infatti ritenuto che non rispondesse alla finalità rieducativa della pena ex art. 27 Cost. la previsione che l’accesso (dopo 26 anni di reclusione) alla liberazione condizionale e/o la fruizione di permessi premio fosse consentita solo ai condannati per simili delitti che avessero collaborato con l’autorità giudiziaria, e che in assenza di collaborazione al Giudice di Sorveglianza fosse preclusa qualsiasi valutazione circa l’effettiva pericolosità del condannato ed il percorso di ravvedimento eventualmente maturato nel corso del lungo periodo di detenzione. Del tutto irragionevole era apparsa simile previsione alla Corte, anche a fronte della constatazione che talora la collaborazione con l’autorità giudiziaria diveniva impossibile, o causa del ruolo marginale rivestito dal condannato in seno all’organizzazione criminale o – più semplicemente – perché le sentenze pronunciate nei diversi gradi di giudizio avevano già acclarato ogni aspetto della consorteria criminale di un tempo, rendendo l’eventuale apporto investigativo del condannato del tutto irrilevante. Correttamente il Giudice delle leggi aveva dunque evidenziato l’illegittimità costituzionale del carattere assoluto della preclusione contenuta nella previgente disciplina.
Ebbene, il Dl n. 162/2022 – è sufficiente una rapida lettura del medesimo – non fa affatto tesoro di simili principi, rendendo il percorso che il Giudice dovrebbe compiere per decidere sulla concessione dei benefici penitenziari ai condannati per reati ostativi più simile ad una corsa ad ostacoli che ad una vera valutazione del reale percorso di cambiamento e di ravvedimento del condannato.
A fronte dell’intervento governativo in materia di “ergastolo ostativo” si sente il dovere di porre alle forze politiche che oggi governano il Paese due domande: chi si macchia di certi delitti non può dunque avere riscatto? Il destino di costui non può che essere il carcere in perpetuo? Dalle risposte a queste domande, che di fatto il Governo darà nel modo con cui affronterà il dibattito parlamentare in sede di conversione, si potrà verificare se la visione antropologica delle forze di governo sia, o meno, conforme a quella matrice culturale giudaico-cristiana e liberale che le stesse forze hanno dichiarato di volere conservare.
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