Mentre sulle nostre spiagge i bagnini iniziano a chiudere gli ombrelloni e ripiegare le sdraio, il pianeta giustizia scruta l’orizzonte per comprendere quale destino lo attende. Come sempre accade quando occorre cambiare l’abito alla dea bendata custode della bilancia, le previsioni non volgono al sereno.
Si comincia con la riforma del processo civile, tema che sembrerebbe attirare meno saette ma che di certo è il dossier che più interessa all’Unione Europea, in vista del Recovery Fund. Sebbene quindi il governo proverà a chiudere velocemente il testo che dovrebbe approdare in aula per fine settembre, qualche nube si scorge all’orizzonte, in particolare sul diritto di famiglia. L’obiettivo del testo della riforma proposta dal governo ovviamente è sempre lo stesso, ovvero quello di rendere il processo civile più celere e snello, dando un taglio netto alla stagione delle eterne controversie che affossano le imprese e deprimono le speranze di giustizia dei cittadini. Al giudizio ordinario si punta quindi ad affiancare procedure alternative, che portino a risoluzione in tempi assai più snelli. La commissione Giustizia del Senato ha già iniziato a discutere sui circa 500 emendamenti al testo proposto dal governo.
Una delle principali novità è rappresentata dalla creazione di un rito unico per le questioni che riguardano “persone, minorenni e famiglie”. Nel testo, e qui si annida una delle possibili tensioni, si chiede che sia introdotto l’obbligo per tutti i soggetti istituzionali che entrano in contatto con i minorenni di garantire che i diritti di affidamento e di visita siano assicurati tenendo conto delle violenze, anche assistite, rientranti nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul e ciò in presenza di casi di violenze “allegate, denunciate, segnalate o riferite”. In questi casi si prevederebbe una procedura estremamente rapida, ispirata all’obbligo di protezione del minore da qualsiasi forma di violenza. L’aspetto di maggior delicatezza risiede proprio nella previsione che ad accertare la reale esistenza di episodi di violenza sia lo stesso giudice civile o minorile “senza formalità”. A fronte di ciò la Lega ha presentato un subemendamento che va in tutt’altra direzione, puntando a conservare la bigenitorialità e a sanzionare chi inventa episodi di violenza inesistenti.
Francamente, qualche dubbio nei confronti della riferita proposta sorge in considerazione del rischio, neanche troppo remoto, di far venire meno il principio del giusto processo e di eliminare le garanzie del genitore accusato di violenza. La mediazione come sempre è affidata alla sapiente gestione del ministro, che siamo certi troverà un punto di equilibrio.
Certo, non occorre rivolgersi alla sibilla cumana per prevedere che quelli che verranno saranno mesi complessi per le sorti della giustizia. Alle riforme del processo civile e di quello penale si dovranno aggiungere quelle della magistratura onoraria e soprattutto quella del Csm e dell’ordinamento giudiziario.
Dopo il via libera di Montecitorio la riforma del processo penale dovrà essere licenziata da Palazzo Madama. Dopo il travaglio che c’è stato alla Camera non dovrebbero esserci colpi di scena e il governo dovrebbe riuscire a portare a casa il provvedimento in tempi relativamente brevi. Parliamo, è sempre bene ricordarlo, di una delega che il Parlamento conferirà al governo a cui poi spetterà il compito di dettagliare in norme procedurali vere e proprie le linee di principio contenute appunto nella legge di delega.
Come noto, la parte più spinosa del testo, frutto di un sofferto compromesso, riguarda la prescrizione. Sul punto, in vista dell’approdo al Senato, i più importanti studiosi italiani di procedura penale hanno pubblicamente chiesto un ripensamento rispetto al testo approvato, evidenziando il forte rischio di incostituzionalità della improcedibilità così come ipotizzata. Risulterebbero infatti violati l’obbligatorietà dell’azione penale e il principio di separazione dei poteri, sottolineando poi, fondatamente, come il neo-introdotto istituto processuale non realizzerà l’auspicata riduzione dei tempi, che rischiano invece di essere ulteriormente allungati.
L’auspicio formulato da una parte della comunità scientifica è quindi che nel prosieguo dell’iter parlamentare sia presa in seria considerazione la possibilità di un ritorno alla prescrizione sostanziale, ovvero quella del reato (fortemente osteggiata dai 5 Stelle). Il potere assegnato ai giudici di disporre proroghe dei termini dell’improcedibilità, frutto del sofferto compromesso trovato all’interno del governo, finisce, fanno notare gli studiosi del processo penale, per renderli arbitri della scelta se precludere o consentire la prosecuzione dell’azione penale, pertanto, in assenza di parametri prestabiliti, due procedimenti simili potrebbero essere considerati o meno “particolarmente complessi” – e quindi prorogabili – a pura discrezione del giudice, consegnando così alla giurisdizione scelte di politica criminale, in evidente contrasto con il principio di separazione dei poteri.
Come non bastassero le difficoltà di gestione delle riferite riforme processuali, altri non meno impegnativi fronti attendono di essere aperti. Un’altra riforma attesa da anni è, infatti, quella dei giudici onorari e di pace, che nei mesi scorsi hanno non senza ragioni animato numerose proteste. A loro, giova ricordarlo, è affidata la gestione di una buona fetta della giustizia civile e, limitatamente ai reati minori, di quella penale. Essendo però ufficialmente liberi professionisti “prestati” alla macchina giudiziaria, è loro negato ogni diritto dei lavoratori subordinati: le ferie, la maternità, la malattia, con ciò sollevando perplessità nella stessa giurisprudenza europea che ha già richiamato l’Italia a una miglior definizione del loro ruolo.
Dulcis in fundo, più volte affrontata in queste pagine, resta tutta da affrontare la sfida per la realizzazione di una seria riforma, non solo del suo sistema elettorale, del Csm oltre quella connessa dell’ordinamento giudiziario. In questo ambito domina il tema della responsabilità dei magistrati la cui oramai autoreferenzialità è irrimediabilmente sfociata nell’abuso. Non strettamente rientrante nel perimetro delle riforme collegate al Pnrr, quello in parola è certamente il fronte più complesso e drammatico da affrontare da parte di un governo di larghe intese. L’attuale consiliatura scade nel 2022 e la necessità di cambiare le complessive regole del gioco si fa sempre più urgente.
La commissione ministeriale ha formulato una proposta che verte su un Csm composto da venti togati, invece degli attuali sedici, da eleggere con il sistema del voto singolo trasferibile; dieci, invece, in membri laici, e non più otto. Sono state poi ipotizzate norme relative alle porte girevoli tra politica e magistratura e alla composizione della sezione dedicata alla gestione delle azioni disciplinari. Tuttavia, ciò che più rileva è la circostanza che la stessa commissione, con grande onestà intellettuale, ha affermato che per una riforma organica di più ampio respiro occorrerebbe molto più tempo, dovendosi necessariamente lavorare anche sulle regole di gestione dell’autogoverno della magistratura, regole previste in buone parte dalla Costituzione. La sensazione è che, anche qui, il governo proverà a intervenire di fioretto, limitandosi a ciò che proprio non si può non cambiare, come il sistema elettorale del Csm. Realismo e necessità impongono che si inizi a imboccare una strada che, pur senza mortificare alcuno, restituisca ai cittadini la necessaria fiducia verso un organo dello Stato così cruciale nella vita dei cittadini stessi.
Se, per un verso, non vorremmo ritrovarci fra qualche tempo a dover amaramente commentare come lo scandalo Palamara, scoppiato oramai già due anni orsono, avesse inutilmente evidenziato quanto necessario si palesava l’azzeramento del potere delle correnti della magistratura, per altro verso qualcuno inizia a domandarsi se davvero quanto è emerso da quella vicenda non contenesse più di una notizia di reato e non solo nei confronti del suo protagonista principale. Come sussurrato purtroppo solo da pochi, fra cui il procuratore Gratteri, quanto è stato addebitato a Palamara è stato reso possibile esclusivamente dalla partecipazione a quelle condotte da un certo numero di consiglieri dei passati, oltre che dell’attuale, Csm. Ma sul punto regna un religioso silenzio. Ciò che è certo è che la nomina del procuratore di Roma, da cui tutto è scaturito, è stata annullata dal giudice amministrativo e la questione resta ancora tristemente e iconicamente aperta.
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