È da valutare positivamente la scelta compiuta dal Governo di separare le due riforme costituzionali che stanno al centro del suo programma: la riforma del sistema parlamentare e quella della giustizia. Quest’ultima sarebbe stata “separata” con lo scopo di arrivare ad approvarla con i 2/3 dei parlamentari ed evitare così il referendum; il che comporterà che si attivi in Parlamento una discussione reale e una ricerca di soluzioni condivise, tutti elementi che erano rimasti parzialmente in sordina nell’ambito delle assemblee parlamentari, ridotte, spesso, a fare solamente  da cassa di risonanza alle decisioni dei governi. Si era anche giunti, non tanto tempo fa, a “tagliare” in modo radicale tutta la discussione sulla legge di bilancio, senza nemmeno produrre in tempo utile i documenti che i parlamentari – comunque eletti dal popolo sovrano, per quanto la crisi della politica stia provocando una grande sottostima nei riguardi della medesima – avrebbero dovuto votare.



Se, a detta di molti e molto esperti, quanto ai contenuti, si tratta di una vera svolta storica, attesa da lungo tempo e coerente con gli standard costituzionali e internazionali, sul piano del metodo la scelta va davvero salutata con soddisfazione. Essa sta a significare che, dopo decenni in cui le riforme costituzionali, dalle più semplici alle più complesse, erano state approvate con maggioranze parlamentari tutto sommato risicate e poi, in molti casi, bocciate dal referendum popolare, la riforma della giustizia si presenta come un potenziale cambio di paradigma che dovrebbe portare – sperabilmente – a correttivi, si auspica migliorativi, del progetto di legge governativo.



Dibattito e confronto tra diversi: a questo serve un Parlamento direttamente eletto, cui si deve chiedere l’impegno di un lavoro che abbia la caratura di ciò che caratterizza la politica, quella di essere l’arte del compromesso. Non solo: una riforma che, pur tra le molto critiche, è destinata a durare, deve presentarsi come un passo da statisti e non da mestieranti della politica, dove gli statisti sono coloro che hanno visioni di ampio respiro e di ponderata sostanza.

Quanto ai contenuti, molto ci sarà da riflettere e da discutere. Quello che è certo è che, ad esempio, sul tema del doppio CSM vi sono esempi in altri ordinamenti che dicono di una certa funzionalità; sulla separazione delle carriere è ragionevole pensare che sia davvero il momento di completare la riforma del rito accusatorio, come è stato fatto in Portogallo, mentre resta fermo il principio costituzionale garantista della obbligatorietà dell’azione penale, da noi ritenuto a buon titolo capace di tenere separate e distinte le due sfere, quella della politica e quella della giustizia.



Un buon inizio dunque, e che il Parlamento ritorni ad essere anche lui un po’ protagonista.

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