Fabio Roia è stato nominato presidente del Tribunale di Milano il 10 gennaio, dopo una prima esperienza da pubblico ministero e poi da giudice che l’ha portato a presiedere la Sezione misure di prevenzione, nonché assegnatario nel 2018 dell’Ambrogino d’oro. Sulle pagine di Famiglia Cristiana il neo presidente, esperto in reati contro i soggetti deboli e di violenza contro le donne, ha parlato di cosa per lui sia la giustizia.



Il 38 anni di servizio Roia ha capito, soprattutto, che “dietro ciascuna [causa] c’è una persona che lamenta la violazione di un diritto e merita un ascolto” che mal si concilia con “l’obiettivo di abbattimento dell’arretrato e di riduzione dei tempi dei procedimenti fissato dall’Unione europea”. A Milano, che ora sorveglia dal suo scanno giudiziario, sottolinea che negli anni “c’è stata una trasformazione nella presenza multiculturale” che ha fatto sì che nella sezione immigrazione pervengano “il più alto numero di ricorsi per richiesta di protezione internazionale in Italia”. Similmente, spiega Roia, “si abbassa l’età degli imputati per reati orientati alla violenza di genere: il 40% ha tra i 18 e i 35 anni; al 70% sono giovani italiani” mentre si assiste anche sempre più ad inflitrazionei della ‘ndrangheta “in doppiopetto”.



Roia: “Le troppe riforme della giustizia non permettono al sistema di stabilizzarsi”

Parlando del sistema giustizia in Italia, Fabio Roia pone l’accento sul fatto che accedervi “ha raggiunto costi che non tutti si possono permettere“, un fatto negativo perché “viola il principio di uguaglianza”. Pesa, tuttavia, anche la sfiducia degli italiani nella magistratura, e il presidente milanese suggerisce ai colleghi di “imparare a comunicare meglio i servizi che possiamo dedicare e il senso delle nostre decisioni, scegliendo i contesti opportuni e non vivendo in una torre d’avorio“.



Tuttavia, secondo Roia, di ‘negativo’, o quantomeno problematico, c’è anche il continuo cambio di paradigma normativo, tra riforme e contro riforme che “generano instabilità e dunque inefficienza“. Allo stato attuale, “stiamo assorbendo la riforma Cartabia che è strutturale” e richiederà “anni perché si assesti”, e il problema è che “se ogni due anni si torna da capo, spesso senza uno studio di impatto, il sistema non si stabilizza mai”. Le leggi con cui la magistratura lavora, d’altro canto, spiega ancora Roia, “non sono sempre ben scritte” con l’evidente necessità di interpretazione da parte del giudice, che “in mancanza di una legge ad hoc deve comunque decidere in base alle norme esistenti e necessariamente supplire”.