La situazione delle nostre carceri continua ad essere assai delicata. Quasi tutti gli istituti ospitano un numero di detenuti notevolmente superiore alla capienza consentita.
La prima conseguenza di tale situazione è che la qualità della vita dei reclusi è quasi ovunque molto bassa: pochissimi sono i detenuti in grado di svolgere un’attività lavorativa, sono in aumento i suicidi e preoccupa il numero di decessi in carcere per malattia.
In affanno sono poi gli educatori che invocano nuove assunzioni e scontenta è anche la Polizia penitenziaria, non in grado di garantite la sicurezza negli istituti. Anche l’edilizia penitenziaria richiede interventi strutturali non più rinviabili.
Qual è il programma del nuovo governo per fronteggiare questa emergenza? Benché il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sia stato scelto con grande convinzione dalla Meloni (nonostante i diversi desiderata di Berlusconi) non sembra esserci (almeno a stare alle loro dichiarazioni) un indirizzo unitario.
Da una parte c’è il presidente del Consiglio, che nel suo discorso di insediamento alla Camera ha promesso di lavorare “per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una Nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri” e in Senato a Ilaria Cucchi che aveva stigmatizzato la drammatica situazione in cui versano le carceri ha replicato che “la certezza del diritto passa dalla certezza della pena, certo anche dalla rieducazione del condannato (…) come si fa se chi ha sbagliato non paga mai? (…) io credo che il problema delle carceri vada affrontato ampliando gli spazi e creando condizioni di vita migliore (…) è indegno che in un paese civile dall’inizio dell’anno vi siano stati 71 suicidi”.
Insomma, il primo ministro è per una visione dell’espiazione della pena carcerocentrica, seppur garantendo condizioni di vita migliori.
Dall’altra c’è il ministro della Giustizia, che nelle sue prime esternazioni ha voluto confermare, come già noto, di “essere un garantista” e che le carceri sono la sua priorità, tanto da impegnarsi a potenziare l’edilizia penitenziaria. Ma subito precisa il ministro: “giusto perseguire la certezza della pena, ma questo non significa una pena crudele” e “la certezza della pena non necessariamente deve coincidere con il carcere (…) perché la pena deve tendere a rieducare il condannato o almeno a non farlo diventare peggiore di quando è entrato in carcere nel rispetto della Costituzione e dei principi cristiani”. E lo stesso ministro ha ricordato che fu proprio lui ad anticipare la riforma Cartabia con il “progetto Nordio”, che prevedeva l’applicazione di misure alternative direttamente da parte del giudice della cognizione in alternativa al carcere.
Insomma, il Guardasigilli ha una visione della giustizia liberale, allineata agli orientamenti più moderni in tema di processo e sanzione, ormai diffusi nei paesi occidentali, per cui al carcere, ove possibile, bisogna sostituire le misure alternative, in quanto la pena deve tendere al reinserimento di chi ha sbagliato e non solo a punirlo.
Il dubbio è ora questo: se la Meloni e Nordio hanno visioni del problema così diverse, come potrà essere trovata una sintesi nel momento in cui dovranno essere adottati i provvedimenti che entrambi ritengono urgenti e indifferibili? Prevarrà la visione più rigida e giustizialista della destra e del presidente del Consiglio o la linea garantista e liberale del suo ministro della Giustizia?
Chi vivrà vedrà.
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