L’ultima riflessione del nostro ciclo è dedicata alla lotta alla corruzione e alla struttura che nel nostro paese è deputata al preventivo contrasto al fenomeno.

Aperta nel 2012 la stagione della prevenzione come necessaria leva di supporto alla repressione affidata alla magistratura, la normativa in tema di anticorruzione ha consentito di varare una particolare autorità indipendente, cui è stato affidato il compito di introdurre, rafforzare, applicare i presidi di prevenzione.



Parliamo dell’Anac, presieduta da Raffaele Cantone fino a pochi mesi fa, quando, prematuramente sulla scadenza prevista, sono giunte le sue dimissioni dall’incarico per la presa d’atto di una sostanziale crescente sfiducia sull’operato da parte dell’allora governo giallo-verde.

Sono stati mesi difficili per l’Anac, attualmente guidata dal professor Francesco Merloni in veste di facente funzioni come consigliere anziano, e sono tempi magri per chi ha creduto nella prevenzione. È un dato di fatto che il governo giallo-verde non abbia creduto, e tanto meno investito, sull’autorità, forse perché la sua primogenitura era marcatamente renziana.



Un certo malumore sembra continui a respirarsi nei corridoi dell’agenzia, soprattutto a causa di un emendamento che avrebbe lo scopo di dare sostanza al lavoro dell’Anac anche in questo periodo, ormai decisamente lungo, in cui è priva del suo capo. Ebbene, la cronaca parlamentare racconta che quell’emendamento sia stato dai Cinquestelle prima sventolato, poi, senza spiegazioni, affossato.

Sciatteria, disattenzione o altro? Inevitabile che tornino alla memoria le dichiarazioni formulate dal premier Giuseppe Conte, che ai tempi del suo esordio, nel giugno 2018, aveva rifilato all’Authority di Cantone un giudizio severo, parlando di “risultati deludenti”. Poi il Presidente del Consiglio ha fatto un po’ retromarcia, ma da allora, nei corridoi dell’Anac, la sensazione di non essere amati a Palazzo Chigi è rimasta. E la sensazione si rafforza adesso, nella fase delicata in cui l’Authority deve continuare a lavorare senza presidente.



Come accennato, in questo periodo l’Anac è diretta dal più anziano tra i consiglieri, Francesco Merloni: un galantuomo, come si diceva una volta, un tecnico, con un corposo curriculum di lavori sui rapporti tra pubblica amministrazione e corruzioni.

Allo stato, il professor Merloni dirige l’Anac con pieni poteri, ma unicamente sulla base di un regolamento interno. Per dare solidità al suo operato servirebbe una norma di legge che equiparasse il vicario al presidente effettivo, in particolare per le funzioni che deve svolgere in solitaria: a partire dalla più delicata, il potere di commissariamento degli appalti considerati a rischio corruzione, esercitato, appunto, direttamente dal suo ex presidente oltre 40 volte dall’entrata in servizio di Anac. Inevitabile formulare pensieri tinti. I media hanno dato assai poco spazio a questa vicenda.

Circostanza altrettanto significativa: l’Anac non gode di grande sostegno, non gode di grande simpatia. La sensazione è che il Governo in primis non la ritenga un vanto come invece dovrebbe essere, certo con tutti i limiti di una giovane creatura poggiata su basi non proprio solidissime.

Al contrario, quella struttura andrebbe rafforzata, supportata, posta al centro di un progetto di ancor più ampio respiro. Si può dire che la presidenza Cantone, la prima avuta da Anac, sia stata di natura sperimentale. Sarebbe saggio trarre le somme di questo esperimento.

Anche qui, dimostrare di avere una visione. Anche qui, l’auspicio resta vivo così come la disponibilità a rimboccarsi le maniche per contribuire a tirare fuori dal fallimento il sistema giustizia di questo paese.

(4 – fine)