Persino una delle riforme più attese e controverse, quella della giustizia, rientra in una campagna elettorale da delirio, che vede solamente posizioni contrapposte e dichiarazioni perentorie, da una parte e dell’altra, ma nessun dialogo vero e costruttivo. Pare che per il Parlamento europeo si attenda solo la conta dei voti. È un aspetto piuttosto “particolare” dell’attuale politica italiana e della futura politica europea rispetto alle drammatiche situazioni che sta vivendo il mondo.
Ci sono diversi problemi ancora da risolvere sulla giustizia in Italia, ma il nodo centrale resta sempre quello del giusto processo e quindi la conseguente separazione della carriere tra giudice e pubblico ministero.
L’Italia, come è noto, costituisce un’anomalia nel mondo delle democrazie occidentali, perché nel nostro Paese la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero non esiste.
Da più di quarant’anni, dai tempi del caso Tortora, si discute di questo problema che fu sancito e addirittura glorificato da ministri fascisti come Dino Grandi, realizzato da un ministro come Alfredo Rocco e poi solo parzialmente riformato di fronte a una realtà tanto diversa da quello che è il pensiero dominante nella giurisdizione democratica.
Nel momento della Costituente, la separazione non avvenne per una questione di responsabilità puramente politica, che avrebbe poi dovuta essere rivista, perché il Paese era letteralmente spaccato in due e si temeva che un ministro della Giustizia, potesse influenzare il pubblico ministero che in tanti Paesi democratici dipende appunto dal Guardasigilli.
È strano, si fa per dire, che quando si parla di riforma della giustizia e di separazione delle carriere, ci sono alcuni che evocano i programmi di Licio Gelli e della P2, oppure il lungo contenzioso tra Silvio Berlusconi e la magistratura. E infine si ritorna al ritornello di Tangentopoli, dove avvenne tutto e il contrario di tutto, con un’operazione che spazzò cinque partiti democratici e salvò la destra, ma soprattutto la sinistra comunista, che veniva regolarmente foraggiata dall’Unione Sovietica, con cassette colme di dollari che arrivavano regolarmente a Fiumicino e poi venivano scambiati nella banca del Vaticano.
Tutto questo è ormai conosciuto e stranoto e ha caratterizzato una rissa indecente tra politica e magistratura per anni, ma le posizioni, nonostante rivelazioni, errori e scandali, sono ormai consolidate e creeranno contrasti futuri difficilmente componibili.
Il Guardasigilli Carlo Nordio è andato in questi giorni al 36esimo Congresso dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) a Palermo e ha ripetuto la volontà di realizzare la riforma in modo franco, senza aprire un contenzioso con la magistratura. Il Guardasigilli ha riproposto la separazione delle carriere, salvaguardando comunque l’indipendenza di tutta la magistratura, imitando probabilmente l’esperienza portoghese.
Ma le risposte che Nordio ha ricevuto sono secche e appunto perentorie. Il presidente dell’Anm, Giusepppe Santalucia, ha replicato: “Non abbiamo da trattare, ma da parlare alla politica e alla società intera per dire che questa Costituzione ha ancora molto da dire, non va toccata almeno per quanto riguarda la giurisdizione”.
Accanto a Santalucia, per accendere appunto la campagna elettorale, sono arrivati la leader del Pd, Elly Schlein, contraria alla separazione, ma soprattutto il giurista Giuseppe Conte, il leader del M5s, che deve aver studiato in una “particolare” università.
Dice Conte: “La riforma della giustizia è un pilastro fondamentale del disegno riformatore del governo. È un processo di accentramento e di redistribuzione dei poteri in senso verticistico. Difficilmente questo disegno potrà completarsi con una magistratura indipendente. Di qui la separazione delle carriere e la riforma del CSM, la revisione dell’obbligatorietà della legge penale. Sono tutti corollari di un medesimo disegno riformatore. È evidente che la svolta autoritaria presenta assonanze con il progetto di rinascita democratica della P2”.
Insomma per Conte, per Schlein, per Santalucia, in quasi tutti i Paesi democratici dove non esiste la separazione delle carriere non esiste giustizia e Licio Gelli sta “spopolando” anche da morto. La vera “maestra” della giurisdizione sarebbe l’Italia.
Di fronte a simili affermazioni che motivo ci sarebbe di ricordare a questi tre personaggi gli insegnamenti di Montesquieu, le scuole degli avvocati riformisti, le ripetute richieste fatte da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Basta il discredito che la giustizia italiana, nella sua anomalia assurda, ha avuto in questi anni. Per comprendere i tre “giuristi” intervenuti al Congresso contro la separazione delle carriere insieme a molti altri naturalmente. È il frutto di anni di conformismo e paura delle vere riforme di cui l’Italia ha bisogno.
Il Congresso si è chiuso sulle posizioni del presidente Santalucia, ma il problema della giustizia italiana resterà aperto ancora e creerà sempre sfiducia nei cittadini. Il problema più grave è che la giustizia ha sconfinato in modo perverso nella politica screditandola e alla fine, quando verrà varata una riforma, si assisterà a uno scontro che potrebbe portare sia a una svolta autoritaria, sia a una confusione istituzionale che sostituirà la democrazia tradizionale con una tecnocrazia senza senso.
Ma in fondo tutto questo è un’operazione che dura da anni, da quando gli alfieri del neocapitalismo stabiliscono tutti i nuovi poteri che si intrecciano. Che cosa c’è di più intrecciato in Italia che magistratura e apparato mediatico? Come si scrive all’estero, nei Paesi democratici dove, secondo Conte, non esiste giustizia, i processi in Italia si fanno sui giornali e in televisione. E così l’assoluzione o la condanna, rispetto alla cultura giurisdizionale di una parte della magistratura italiana, sono fatti quasi secondari.
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