Non c’era certo bisogno della sfera di cristallo per prevedere che la riforma della legge elettorale del Csm non avrebbe determinato alcun stravolgimento nella selezione dei consiglieri rispetto al loro legame con le famigerate correnti della magistratura. Quindi, nulla di nuovo sotto il cielo della giustizia italiana. Hanno (stra)vinto ancora i candidati legati alle correnti, tuttavia qualche segnale di resipiscenza pure si coglie.



Se era infatti prevedibile che questa legge elettorale non avrebbe inciso nell’intento di recidere il cordone ombelicale fra consiglieri e correnti di appartenenza – d’altronde è davvero difficile immaginare un modo affinché ciò avvenga, se si esclude il sorteggio – non era affatto scontato che passata la burrasca, la parte non compromessa con il consolidato sistema di lottizzazione delle nomine riuscisse a farsi sentire, palesando una certa sofferenza e stanchezza rispetto alle vecchie logiche.



A leggere fra le pieghe della votazione (il cui scrutinio si è concluso venerdì), emerge più di un dato interessante. Il primo a venire scrutinato è stato il collegio unico che elegge i due magistrati della Corte di Cassazione, che è un collegio unico nazionale e quindi i suoi risultati rappresentano meglio delle altre votazioni il peso delle correnti. Ebbene, qui si è registrata un’affluenza alta, l’82%, ma inferiore a quella delle elezioni del 2018, quando aveva votato il 90% degli aventi diritto.

Altro dato interessante è quello delle schede bianche, che sono state ben 768, con poi 187 nulle. Ancora più significativa è la constatazione che se si sommano i voti presi dai candidati più o meno indipendenti – diciamo quelli giunti dal sesto al decimo posto, fra i quali spicca il candidato del comitato AltraProposta, che ha schierato esclusivamente nomi selezionati tramite sorteggio – si ottiene un numero di voti complessivo che avrebbe potuto portare all’elezione di un consigliere, scalzandone così uno fra quelli appartenenti a Magistratura indipendente e Area, che sono risultati invece i vincitori. Se poi a questa massa di voti si sommano anche le schede bianche, viene fuori un totale di preferenze che risulta superiore al primo degli eletti. Ne discende che se alla precisa presa di posizione di una parte crescente della magistratura si fosse accompagnata una maggior capacità di coordinamento, si sarebbe potuto eleggere un consigliere, incidendo significativamente sugli equilibri interni. Infine, sempre nell’ambito del collegio unico dei magistrati della Cassazione, se si guarda al dato aggregato si evince che almeno un terzo del corpo elettorale ha fatto convergere i suoi voti a favore di un candidato indipendente, dando così il segnale dell’esistenza di ciò che potrebbe essere definita una fronda all’interno della categoria.



Come noto, la storia non si fa con i se e pertanto occorre prendere atto che, al netto del meccanismo elettorale, le correnti hanno saputo sfoderare la forza necessaria a travolgere i tentativi di concorrere in autonomia dei numerosi indipendenti sparsi qua e là, lasciando l’amaro in bocca a chi nel Paese, dopo il terremoto conseguente all’indagine su Palamara, aveva auspicato un cambiamento radicale.

Quella più premiata dalle urne è stata comunque la corrente conservatrice di Magistratura indipendente, considerata la più a destra o se si preferisce la più conservatrice, con ciò probabilmente anticipando quanto potrebbe accadere nelle elezioni che ci attendono oggi. Delusa la corrente più di sinistra, quella di Magistratura democratica, che si è presentata alle elezioni divisa da Area, l’altra componente progressista che invece ha retto, pare anche grazie all’apparente travaso di suffragi degli ex elettori di Autonomia & Indipendenza. Proprio la corrente che era stata fondata da Piercamillo Davigo e che nell’ultima consiliatura era arrivata a contare ben cinque seggi a Palazzo dei Marescialli, eleggendo magistrati come Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, non ha ottenuto seggi. Sostanzialmente annunciato il flop anche per i candidati del cosiddetto “listino” di Cosimo Ferri. Regge infine la corrente di Palamara, che non ha subito l’inabissamento legato allo scandalo.

Nel dettaglio, oltre i due consiglieri provenienti dalla Cassazione, i risultati complessivi dello spoglio per i magistrati giudicanti di merito vedono l’elezione di quattro magistrati di Magistratura indipendente, quattro di Area, tre di Unicost, uno di Magistratura democratica. Un unico seggio, tra i cinque scattati col meccanismo correttivo proporzionale grazie ai resti, va anche alla cosiddetta “corrente anticorrenti”, che porta a Palazzo dei Marescialli Andrea Mirenda, giudice di Sorveglianza di Verona, storico magistrato “anti-sistema” che – per una strana coincidenza – è stato sorteggiato per correre grazie al meccanismo previsto dalla riforma Cartabia per assicurare la parità di genere.

Non cambia lo scenario per quanto riguarda infine i cinque seggi previsti per i pubblici ministeri: due sono andati a Mi, uno a Area, uno a Unicost, uno al pm Fontana della procura di Milano, ex Md ma presentatosi come indipendente. Per la composizione finale del Csm, pertanto, dei 20 scranni per cui si è votato, Mi ne ha conquistati ben 7, Area 6, Md (che nella scorsa consiliatura correva con Area) 1, Unicost 4 a cui si aggiungono gli indipendenti Mirenda e Fontana.

Chi ha a cuore le sorti della nostra Repubblica non può che augurarsi che i nuovi consiglieri garantiranno, se non il superamento, anche solo l’attenuazione delle dinamiche che hanno caratterizzato, purtroppo, le precedenti consiliature e che, nonostante il fresco scandalo, son proseguite sino a ieri, ad esempio, nella attività della V commissione, quella degli incarichi, in cui ogni gruppo si è contraddistinto per proporre per il posto direttivo o semidirettivo l’appartenente alla propria fazione. Nel dubbio, ad ogni buon conto, non cesseranno di avere efficacia le famose circolari dell’ex procuratore generale Giovanni Salvi, grazie alle quali sono state ammantate di legalità le auto e le etero-promozioni dei magistrati per le loro nomine.

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