Un grande giurista come Sabino Cassese, ex giudice della Corte costituzionale, ma anche ex ministro della Funzione pubblica nel governo di Carlo Azeglio Ciampi del 1993, è riuscito a dipingere il caos dello scontro ormai quasi cinquantennale (è venuto il momento di fare i conti esatti, nonostante i “vuoti” di memoria di molti giornalisti) con un’immagine tra le più azzeccate che si potevano trovare: “Al cittadino non servono magistrati combattenti”.
Sembra solo una battuta perfida, ironica e amara sullo stato della giustizia italiana, ma è invece l’autentica fotografia grottesca del nuovo “affaire” che coinvolge il giudice di Catania Iolanda Apostolico, che dieci giorni fa ha rilascia tre migranti, disapplicando il decreto Cutro. Il ministro Salvini ha diffuso un video con la signora giudice Apostolico che partecipa a una manifestazione a favore dei migranti e contro Salvini fatta cinque anni prima, nel 2018. Si scatena, a questo punto, una sorta di “rissa palabratica” da bar di periferia, che di certo non porta chiarezza sull’operato della giudice, che trova scuse poco credibili alla partecipazione della manifestazione e pare che abbia pure oscurato il social dove attaccava il centrodestra.
“Lo spettacolo” sulla giustizia che conosciamo da anni va quindi avanti senza tregua ancora una volta. Tanto per cambiare, una certa sinistra parla di “dossieraggio di Stato” (a causa del video postato da Salvini) e rivendica il fatto che non esiste contraddizione tra l’indipendenza del magistrato e la sua attività di militante politico.
Lo scontro tra giustizia e politica esiste ormai da tempo immemorabile, ma in Italia sembra che sconfini sempre nel tifo ideologico e non sfiori mai la ragione per un equilibrato assetto istituzionale. Neppure per un attimo. Una lezione politica di buon senso arriva in questa occasione non solo da Cassese, ma anche da altre persone con senso dello Stato. Ma queste persone si contano a fatica con le dita di una mano. Vediamo un’eccezione positiva. Ad esempio un uomo che ha rappresentato per anni la sinistra italiana, da comunista, un ex magistrato e un ex presidente della Camera: Luciano Violante. In questa occasione è proprio un uomo come Violante che descrive la gravità della situazione, di come si affrontano due schieramenti, e di come invece ci si dovrebbe comportare per trovare una soluzione positiva.
Abbiamo sentito quello che ha detto Cassese, ora riportiamo la prima risposta che Luciano Violante consegna a una intervista sulla Nazione: “Un magistrato non può partecipare a manifestazioni conflittuali e pensare di essere ritenuto imparziale. La contraddizione, in termini di etica politica, è palese”. Violante è molto secco nel suo giudizio. Dice: sgombriamo il campo dalle opinioni del marito della signora Apostolico e poi aggiunge: “Il punto è quello che riguarda il comportamento dei magistrati e la loro partecipazione a manifestazioni di parte”. Al termine della sua intervista Violante esprime un giudizio ponderato nella necessaria costruzione dei rapporti tra politica e giustizia: “Serve un atteggiamento responsabile, persuadente e non conflittuale. Le istituzioni si devono rispettare reciprocamente perché i cittadini possano rispettarle. Questo è lo sforzo da fare da parte di tutti”.
Un suggerimento più che valido ma che arriva nell’Italia del 2023 dopo che da anni è successo di tutto e la contrapposizione tra giustizia e politica si fa sempre più dura e continua ad accumularsi di episodi clamorosi. Se si guarda bene, senza ipocrisia, la storia della giustizia italiana, si deve risalire addirittura alla Costituente, dove si trovò un necessario compromesso perché l’Italia era spaccata in due, come in fondo lo è ancora oggi. Si scelse il processo inquisitorio, l’attuale ruolo del pm che appare una rarità mondiale (non benefica, come hanno sottolineato in molti, tra cui due eroi come Falcone e Borsellino) guardando ben poco alla terzietà del giudice, che non è stata inventata da Berlusconi come qualche “scriba egizio” riporta, ma addirittura da Montesquieu.
In realtà l’equo processo e la terzietà del giudice furono poi stabiliti dalla Convenzione europea nel 1953, per l’esattezza il 5 dicembre. Ma già la Dichiarazione universale dei diritti umani l’aveva stabilito il 10 dicembre 1948. Con la consueta “rapidità” e, solamente in teoria, il processo “accusatorio all’italiana” arrivò in Costituzione nel novembre del 1999! Si potrebbe sorridere amaramente, dicendo che “non è mai troppo tardi”. Ma non sarebbe vero neppure questo. Perché la riforma di Giuliano Vassalli arrivò dopo tanti tentativi che partivano dalla fondazione delle democrazie, dalle dichiarazioni internazionali, dalla giurisprudenza dei grandi riformisti socialisti, cattolici e anche comunisti, come Umberto Terracini e Gerardo Chiaromonte, tentativi che furono sempre ostacolati e aggirati spesso in modo scandaloso.
L’ Italia ha vissuto quindi per oltre cinquant’anni con il codice del fascista Alfredo Rocco, di Vittorio Emanuele III, del ministro Dino Grandi e del Cavalier Benito Mussolini. E intanto si accumulavano i disastri. Torniamo solo al caso Tortora, quaranta anni fa, che fu uno scandalo anche perché il magistrato accusatore (per lo meno “miope”) fu pure promosso. Poi, saltando migliaia di tragedie umane spesso sconosciute e di cui ogni tanto si viene a conoscenza, c’è la vicenda di Tangentopoli, che divide sempre di più il Paese quando la si ricorda ed emergono alcune vaste “zone d’ombra”, per usare un eufemismo.
Molto presto si accumuleranno altre ben più gravi “zone d’ombra”. Dopo le rivelazioni di Luca Palamara, sono in arrivo chiarificazioni sulla conduzione, per anni, della procura di Palermo, sulla discriminazione che è stata attuata in più di un caso nei confronti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sulla “natura vera” della famosa “trattativa Stato-mafia”, che pare non sia esistita nei termini descritti, anche per le ultime sentenze. Sono passati tanti anni, ma c’è chi sostiene che alla fine la verità verrà a galla. A novembre uscirà un libro che in molti attendono, quello del generale Mario Mori. Staremo a vedere che cosa uscirà da quelle pagine che nelle librerie sono già prenotate da molti interessati. In tutto questo, è arrivato come un’ultima goccia di veleno il contenzioso tra la giudice Apostolico e il Governo, oltre alle sgangherate dichiarazioni di politici di ogni tipo e a una serie di iniziative da non credere.
Alla vigilia di una riforma che non arriva mai, la giustizia italiana assomiglia ad un alto a un groviglio drammatico, a un caos che rischia di compromettere la democrazia, dall’altra all’istituzione di un Paese di “serie B”, ritratto tempo fa dalle parodie di film come Una giornata in pretura, con Peppino De Filippo e Alberto Sordi.
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