Visto l’incredibile “dibattito vaccinale” italiano, anzi, per essere più precisi, le scelte delle “vie che portano al vaccino” in questi tempi disgraziati, occorre ritornare con qualche riflessione su quello che rappresenta la magistratura in questa Italia che ogni tanto ricorda vagamente non tanto quella della cosiddetta “casta”, ma quella “dei fasci e delle corporazioni”. Una forte corporazione, alla fine, può anche sostituire o modificare le scelte del Parlamento.
Nei giorni scorsi, come è noto, l’Associazione nazionale magistrati ha minacciato una sorta di “serrata” o quanto meno un allungamento dei processi se i magistrati non fossero stati vaccinati fra i primi. Esattamente il 29 marzo 2021, l’Anm diramava questo comunicato: “Il nuovo piano strategico vaccinale, modificando le linee guida approvate dal Parlamento nel dicembre 2020, non prevede più tra i gruppi target di popolazione cui offrire il vaccino in via prioritaria, i lavoratori del comparto giustizia. Il Governo considera dunque il servizio giustizia con carattere di minore priorità rispetto ad altri servizi essenziali già sottoposti a vaccinazione, tanto da non ritenere doveroso rafforzare le condizioni che ne consentano la prosecuzione senza l’esposizione a pericolo degli operatori”.
Dopo questa premessa, la minaccia di arrivare pure a sospendere l’attività giudiziaria non urgente.
Quindi, fatta la frittata, vari interventi di ripensamento, di “puntualizzazione” e anche di critiche e di autocritica, varie acrobazie dialettiche che sono state fatte all’interno della stessa magistratura. E pure una critica durissima dell’“eroe dei due mondi” del 1992, Tonino Di Pietro. Che però ormai fa poca notizia e produce pochi effetti.
Tuttavia l’arroganza della cosiddetta “casta”, o forse “corporazione”, è venuta fuori tutta. Completamente.
Ci sono volute pure le precisazioni del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che ha sottolineato la linea guida del piano vaccinale: quella della priorità del personale sanitario, quindi dell’età, quella degli anziani, dove la morte colpisce, e delle persone fragili. Che cosa c’entrano i magistrati in questa linea?
È vero che nel caos del mese di marzo, tra contratti europei sulla fornitura dei vaccini, fatta in modo disastrosa, e le regioni italiane che andavano in ordine sparso, si potrebbe scrivere un pamphlet su quello che è successo nei posti dove si vaccinava e di chi ha cercato di saltare la fila, esibendo uno squallore patetico, all’interno di una tragedia che sta vivendo un intero Paese.
Diventerebbe sempre più complicato giustificare, ad esempio, a una cassiera di supermercato, che è a contatto quotidiano con migliaia di persone e quindi ad alto rischio contagio, che deve mettersi in coda, dopo che è stato vaccinato un giovane e scalpitante pubblico ministero. Ma gli esempi potrebbero in realtà moltiplicarsi.
Per questa ragione, in un articolo di una settimana fa sul Sussidiario, ci siamo permessi di proporre, oltre a una commissione parlamentare, anche una “commissione psichiatrica” ricordando l’incredibile caso Palamara.
In una settimana, sostanzialmente, nella magistratura italiana non è cambiato nulla. Resta sempre sullo sfondo il caso Palamara, che apparentemente non provoca alcuno scossone e si cerca di parlarne il meno possibile sui “grandi” media italiani. Fortunatamente il paese non è tutto uguale. Chi ha fatto il pubblico ministero con grande onore come Carlo Nordio, ieri è ritornato sui “pm no vax” e, senza mezzi termini, ha spiegato che per questi pubblici ministeri “serve il test psichiatrico”.
A che cosa si riferisce Nordio esattamente? Di nuovo al libro di Angelo Giorgianni (magistrato e amico di Nicola Gratteri) e Pasquale Bacco (medico) dal titolo Strage di Stato, dove praticamente il Covid 19 diventa una sorta di “arma” messa a punto da grandi finanzieri tra cui Soros, da Bill Gates, da quelli che finanziano le cosiddette Big Pharma e naturalmente dagli ebrei definiti “i padroni del mondo”.
Qui in Italia è avvenuto anche questo e, attenzione, a questo libretto sul Covid chi fa la prefazione? Lo stesso Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro bloccato dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mentre veniva proposto come ministro della Giustizia. Gratteri, che oggi pare candidato alla procura della Repubblica di Milano, è stato in seguito al centro di un lungo contrasto irrisolto con il guardasigilli pentastellato Bonafede sulla incauta scarcerazione di una serie di boss mafiosi. Chi diceva la verità? Nessuno lo ha mai compreso. Ma questo è il mondo della giustizia italiana.
Se si dovessero elencare le anomalie della magistratura, dei pm in particolare, si potrebbe non solo rabbrividire ma impegnarsi a riscrivere la storia di mezzo secolo di storia italiana, dal dossier Mitrokhin fino alla spia russa di questi giorni.
Le precisazioni di Gratteri sulla prefazione al libro sul Covid, al sempiterno caso Palamara e alle intercettazioni illegali fatte su giornalisti e avvocati che sono state denunciate ieri, sembrano ormai episodi di normale ingiustizia su cui nessuno ha l’autentica volontà di intervenire.
Noi, alla luce di quanto vediamo, non finiremo mai di ricordare la lezione di Giovanni Falcone, come magistrato e come pm. Sembra proprio che tutti lo ricordino evitando di precisare la sua grande lezione, che dovrebbe costituire la base della riforma di questa giustizia italiana, corporativa e sgangherata.
Prendiamo per esempio la separazione delle carriere tra giudice e pm, che indigna i magistrati e anche una parte consistente della sinistra insieme ad alcuni “populisti reclutati”.
Sarebbe inutile ricordare che in un paese come la Svezia la separazione delle carriere è addirittura inserita nella Costituzione, oppure ricordare che l’Italia è l’unico Paese democratico occidentale che non la ammette.
Ricordiamo allora, oltre al test psichiatrico ai pm, suggerito da Nordio, questa frase di Falcone del 1992: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungere nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienza, competenza, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti”.
Ci farebbe piacere un commento definitivo dell’Anm, non solo sulla “battaglia dei vaccini”, ma anche sul pensiero di Giovanni Falcone.
Il ministro fascista Dino Grandi (per alcuni anni anche presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni) rivendicava una coerenza di sistema, fondata sulla identificazione all’interno dell’unica funzione giudiziaria di due sottodistinzioni, accusa e giudizio, che rifletteva lo stesso schema che aveva portato, sul piano costituzionale, al superamento della divisione dei poteri. Senza la divisione delle carriere ritorniamo agli anni Trenta, quelli italiani ovviamente, quando la democrazia era un sogno di pochi “disgraziati” emarginati da tutto.
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