Non c’è dubbio che la situazione politica italiana sia stata investita da un terremoto, di cui è veramente problematico conoscere le conseguenze. Dopo tante scosse telluriche nel corso del dopo “prima repubblica”, sembra che stia arrivando qualcosa di simile al cosiddetto “big one”. Al momento si nota tanto nervosismo, soprattutto nell’ipotetico, futuro centrosinistra. Ma anche nel centrodestra emergono contraddizioni che possono creare complicazioni e contrasti gravi in un prossimo futuro.



Andiamo con ordine. La famosa strategia di Goffredo Bettini, il von Clausewitz all’amatriciana, con il nuovo asse tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle, che dovrebbe essere guidato dal leader Giuseppe “Giuseppi” Conte, assomiglia sempre più a una favola, dove si fronteggiano tutti i protagonisti del pandemonio italiano avvenuto nelle ultime elezioni politiche del 2018, quando la “banda Grillo” arrivò al 34 per cento, un exploit simile a quello della vecchia Democrazia cristiana.



Ora, in questo momento, Beppe Grillo è un leader che ha quasi abdicato alla sua funzione e urla in televisione per difendere suo figlio da un’accusa piuttosto squallida. Conte non riesce a insediarsi, perché il famoso “movimento”, che dovrebbe diventare partito, è spaccato e disperso in mille rivoli, con conseguenze che finiranno probabilmente in pretura, come in un film di Peppino De Filippo e Totò.

La Casaleggio Associati, la famosa “piattaforma Rousseau”, quella che doveva assicurare la “democrazia diretta”, non consegna l’elenco degli iscritti né al sedicente reggente del movimento, Vito Crimi, né a un avvocato sardo che, per complicate ragioni, è entrato nella vicenda come una sorta di garante dopo l’espulsione della consigliera Carla Cuccu.



Inoltre, Davide Casaleggio ha rilasciato dichiarazioni tanto negative sulla leadership di Conte da far impallidire, per il peso che hanno avuto, i giudizi che il leader leghista Matteo Salvini riserva all’ex presidente del Consiglio.

In questo racconto da portineria è difficile seguire almeno un “filo rosso” e quindi si può anche affermare che lo stratega Bettini ha fatto male i suoi conti puntando a un’alleanza elettorale con il M5s, diviso e quasi al collasso, con una scissione incombente, con la piattaforma Rousseau e tutti i suoi adepti furibondi e ormai sganciati.

Nel centrodestra, tra schermaglie e contraddizioni, sembra che la cosa più importante sia la futura leadership, per cui si stanno confrontando con sistematica ripetizione Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Tutto questo non sorprende e sembra non spaventare neppure il presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma è inevitabile che lo stesso destino del governo alla fine dovrà fare i conti con i tanti dissensi interni alla grande maggioranza parlamentare, quasi di unità nazionale.

Eppure, si dovrebbe, qualche volta, almeno ricordare che tutto questo avviene in un tourbillon di sondaggi che diventano poco credibili. Infatti, si dimentica quasi sempre di descrivere il contesto dei dati forniti dall’Istat. Ad esempio: l’astensionismo elettorale è passato da 1 su 10 a 1 su 3. Sempre secondo l’Istat, solo l’8 per cento delle persone sopra i 14 anni partecipa in Italia, in qualche modo, alla vita politica. Gli iscritti ai partiti sono oggi 1/8 degli iscritti del secondo dopoguerra. Ma che Paese viene rappresentato da un nuovo Parlamento ?

È un Paese disilluso dalle istituzioni, impoverito, provato sul piano sanitario e su quello economico dalla pandemia. Come è possibile “giocare” a fare strategie e a immaginare scenari politici di semplice rimbalzo del Pil una volta risolto il problema del Covid-19?

Certamente gli italiani tireranno il fiato per il piano vaccinale e quindi la progressiva riduzione della pandemia, ma dietro l’angolo ci sono problemi economici, e di conseguenza occupazionali, che metteranno a dura prova il Paese.

Draghi ha la forza di una tranquillità intellettuale che altri non conoscono. Ha un prestigio internazionale che ha accresciuto in questi mesi la credibilità italiana nel mondo. Ma anche lui sa che non può fare miracoli e qui, proprio mentre rispetta gli impegni con l’Europa inviando a Bruxelles il Piano nazionale di ripresa e di resilienza, si rende conto che da una decina di giorni a questa parte l’ombra del “big one” può esistere, può diventare un incubo.

Che cosa è accaduto in queste ultime due settimane? Mentre la pandemia dava i primi segni di arretramento e le vaccinazioni si moltiplicavano, scoppiava sul piano politico-istituzionale un altro scandalo nella magistratura italiana. Con una sequenza impressionante arrivava il dossier sull’avvocato Amara, quindi l’avviso di garanzia al pm milanese Paolo Storari, poi il coinvolgimento di uno dei “principi del manipulitismo”, Piercamillo Davigo. Un nuovo tourbillon, questa volta politico-giudiziario, che coinvolge ancora il Csm e le procure di Roma e Milano. E tutto questo avviene dopo “Il sistema” illustrato con precisione dall’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara.

È seguito un groviglio di dichiarazioni, di accuse, di contorte trasmissioni televisive di cui gli italiani comprendono solo una cosa: questa magistratura ha perso ogni credibilità. E inoltre ci si pone legittimamente la domanda: ma non è stato questo “sistema”, questa magistratura che ha liquidato i partiti della prima repubblica e ha inaugurato un trentennio di malessere sociale, economico e politico?

Diventa inevitabile che si ripensi a quello che è accaduto fin dal 1993, al  manipulitismo e alla cosiddetta “seconda repubblica” che non solo non ha risolto nulla, ma che ha anzi aggravato i problemi storici italiani.

Quale altra disaffezione nel popolo italiano registrerà l’Istat dopo quello che è accaduto negli ultimi quindici giorni?

Tutto questo avviene mentre il governo di Draghi si muove per ottenere i finanziamenti dall’Unione Europea. Ci vogliono riforme, che riguardano in primo luogo la pubblica amministrazione, il fisco e proprio la giustizia. Ed è proprio quest’ultima notizia che mette in fibrillazione tutto il vecchio blocco giustizialista, per usare un termine di moda.

In una dichiarazione, con tutta probabilità concordata con Draghi, la Guardasigilli Marta Cartabia dichiara che se non si fa anche la riforma della giustizia, in Italia non arriva un soldo dall’Europa. Poi fa soltanto alcune proposte per quanto riguarda la giustizia penale: l’impossibilità per l’accusa di ricorrere in appello dopo una prima sentenza di assoluzione, come avviene negli Stati Uniti; l’indirizzo sui reati da perseguire da affidare al Parlamento (in Francia è prerogativa del governo); la prescrizione, su cui l’Europa è attentissima e forse intransigente.

Solo queste tre proposte hanno suscitato un putiferio che si può leggere su Il Fatto Quotidiano e negli scritti di pretesi giuristi dalle letture e conoscenze limitate, quelli che non condividevano neppure le tesi di un uomo come Giovanni Falcone.

Quando si toccherà, come inevitabilmente accadrà, la separazione delle carriere e la riforma del Csm, è probabile che si arrivi a una contrapposizione che può mettere in discussione anche i limitati e precari equilibri politici italiani. I resti di M5s e una parte del Pd non accetterà riforme di questo peso. E non saranno i soli.

È complicato e difficile che, in questo caso, l’Italia rispetti la tradizione gattopardesca del “tutto cambi perché nulla cambi”. Se non arriverà il “big one”, ci sarà comunque uno scossone più  forte di quello attuale, ci sarà un ripensamento di tutto quanto è stato fatto in questi anni.

In definitiva, sarà ben difficile trovare un equilibrio politico funzionale prima della scadenza elettorale del 2023.

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