Bisognerà aspettare ancora qualche tempo, ma probabilmente la separazione della carriere, quella tra il giudice e il pubblico ministero nel processo, dovrebbe alla fine realizzarsi anche in Italia, anche se la partita non è affatto finita e la giustizia è in uno stato comatoso.
In questo periodo, dopo il suo congresso, l’Associazione nazionale magistrati (la “magistratura combattente”, come l’ha chiamata con un pizzico di ironia Sabino Cassese) è sempre decisa a difendere l’anomalia italiana, quella della non separazione delle carriere, e cerca anche di arrampicarsi sui vetri per rispondere a molti problemi e a molti argomenti che in Italia si sollevano da decine di anni. La bufala più colossale che viene fatta circolare è che solo Silvio Berlusconi (e addirittura Licio Gelli) avrebbe sollevato questo problema.
Bisognerebbe invece ricordare la storia di un Paese appena uscito dalla guerra e in quel momento effettivamente spaccato in due. In quel periodo la Costituente, deliberando la separazione delle carriere e un Pm soggetto magari agli umori politici del guardasigilli, avrebbe provocato una grande sfiducia generale dopo risse infernali e contrapposizioni pericolose con il giudice.
Il dopoguerra, anche dopo la guerra civile italiana, non fu un periodo di “rappacificazione generale” e di condivisione democratica immediata. Basterebbe la lettura di qualche libro di Giampaolo Pansa, come Il sangue dei vinti o L’Italiaccia senza pace, perché nelle questioni giurisdizionali, anche per evitare alcune “macellerie messicane”, si doveva e bisognava misurare i passi di una riforma che ci avrebbe portato in una democrazia avanzata in tutti i suoi aspetti, ma con il rischio di divisioni insanabili.
Si scelse anche di aspettare una maturazione della magistratura, una giurisdizione sempre più evoluta malgrado la presenza del Codice di Alfredo Rocco e le teorie “sulla compattezza della magistratura” del ministro Dino Grandi. E ovviamente il varo di una riforma della giustizia con un carattere esplicitamente democratico.
Oggi diventerebbe inutile riassumere tutti i motivi per cui tutto questo non si è risolto durante i lavori della Costituente, ma molti giuristi ci hanno lavorato per lungo tempo, da Carnelutti a Pisapia, a Vassalli, tanti giuristi di matrice riformista. Adesso il problema si presenta come non rinviabile.
Il paradosso è che l’ultimo passo lo debba fare probabilmente un governo di destra, essendo l’Anm e la sinistra nel suo complesso schierata contro la separazione delle carriere. E quindi contro quello che fin dal 1950, per la Convenzione europea, fu definito il “giusto processo”, anche se recepito nella Costituzione italiana all’articolo 111 nel 1999.
C’è una frase quasi incredibile in un audio del 1992 di Giovanni Falcone, che richiama una contraddizione palese: come fa il Pm a essere parte e a essere imparziale nel giusto processo? Problema irrisolvibile, che era sottolineato dallo stesso Montesquieu, fin dal Settecento, e cioè che se in un processo il giudice fa lo stesso lavoro del pubblico ministero ci si trova di fronte a un’anomalia.
È forse per questa ragione che due uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi schierati a favore della separazione, suscitano una popolarità, anche nelle ricorrenza della loro morte, inferiore a quella che meriterebbero. Si ricordano ogni anno e poi non si discute di quello che pensavano. Se ne sono dimenticati quasi tutti.
Circolano invece sui giornali e per via televisiva dichiarazioni che fanno venire i brividi alla schiena. A parte le omissioni, le dimenticanze, gli errori storici e i ribaditi comportamenti di protagonismo giuridico e politico, il “partito” dei Pm si esibisce spesso in acrobazie incredibili.
Lasciamo perdere quello che ha confessato e dichiarato Luca Palamara, che ha ridotto la fiducia della magistratura italiana a livelli patetici. Quello che stupisce è che ogni tanto si presenta sullo schermo un saccente ex Pm dall’aria affranta, così come ha fatto recentemente il senatore pentastellato Roberto Maria Ferdinando Scarpinato. Scarpinato è un censore dei costumi italiani, così come insegna il suo nuovo leader para-comico Giuseppe Conte.
L’Italia non va bene, tanti sono i malviventi di tutti i tipi – dicono i “pentastellati” – ma in questo caso Scarpinato riserva una sorpresa incredibile. Con la nostra anomalia italiana, quella della non separazione delle carriere, Scarpinato dice che è tempestato da telefonate di colleghi stranieri che hanno fatto il suo mestiere e dimostrano invidia per questa “anomalia italiana” che funziona contro tangentari e malviventi di ogni tipo. Mai ascoltata una simile acrobazia dialettica, ma che in fondo corrisponde alle aspirazioni dell’Anm: fare una riforma della giustizia senza toccare quasi nulla e tenersi lontano dalla giurisdizione democratica.
Intanto, si ripetono le cose strane, per usare un eufemismo. Il 22 maggio l’Unità, il vecchio quotidiano comunista, rende onore al generale Mario Mori ospitando un suo articolo. È un grande gesto del giornale. Scrive Mori: “Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto dalla Procura della Repubblica di Firenze un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico”. Dopo processi e persecuzioni giudiziarie durate 22 anni, Mori è stato assolto completamente dalla Cassazione. Oggi il generale scrive ancora di avere sempre trovato collaborazione in uomini come Falcone e Borsellino: “Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine”.
Non abbiamo trovato commenti su questo né dall’Anm, né da Scarpinato e neppure dalla sinistra italiana, nonostante l’articolo sull’Unità difendesse apertamente il generale Mori. Lasciamo i commenti al lettore. E naturalmente al “partito dei Pm”.
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