Mentre il noto amministrativista Sabino Cassese ribadisce pubblicamente, associandosi al grido di dolore elevato dal presidente dell’Unione camere penali, Gian Domenico Caiazza, come non possano esserci dei magistrati al vertice del potere esecutivo e non solo a via Arenula ma in tutti gli altri ministeri, il governo sembra sempre più intenzionato a consolidare la scelta di mantenere toni pacati con la stessa magistratura, sospendendo o congelando o abiurando quell’OK Corral che sembrava invece essere il mantra del nuovo corso promosso dal Governo Meloni per mano e per bocca del suo ministro della Giustizia.
Se è vero che il Nordio editorialista aveva mani assai più libere nell’uso della penna di quanto non le possa avere da ministro (non fosse altro perché nell’esercizio del diverso ruolo le idee personali vanno poi ponderate con le opinioni dell’organo collegiale di cui si fa parte), è diffusa la sensazione di un Nordio sotto ritmo, al rallentatore nella nuova veste, al punto che lo stesso Cassese ha fatto notare come sia apparso paradossale che una persona che ha sempre invocato il ricorso alle depenalizzazioni, abbia poi avallato l’assai poco razionale introduzione di nuove figure di reato.
Non appare peregrino affermare che rispetto al nodo giustizia, l’aria di rinnovamento alimentata in politica estera e in politica economica dal primo Governo presieduto da un esponente della destra con una solida maggioranza di destra si stia già infrangendo, lasciando il posto al consueto timore reverenziale che negli ultimi trent’anni ha caratterizzato la classe politica italiana, eccezion fatta per le battaglie personalistiche dei governi Berlusconi.
Al contempo, sono passate sotto silenzio le pur delicate affermazioni del procuratore Viola sui possibili abusi nell’utilizzo dello strumento investigativo del trojan. Il procuratore di Milano, ascoltato dalla Commissione giustizia del Senato nel corso dell’indagine conoscitiva sulle intercettazioni voluta dalla presidente Giulia Bongiorno, ha affermato, con non comune onestà intellettuale, di avere la piena consapevolezza dell’estrema invadenza di questo strumento, con l’annesso rischio di conseguenze sproporzionate rispetto alle esigenze di contrasto di talune tipologie di reato, aggiungendo come sia necessario un corretto equilibrio tra esigenze investigative, diritto di informazione e tutela della privacy.
A fronte di ciò, il procuratore ha dichiarato come a Milano lo scorso anno siano state effettuate 3.119 intercettazioni, di cui 148 con i captatori mentre il numero dei rigetti delle richieste del pm da parte del gip si è attestato sul 10 per cento. Se questa percentuale rappresenti o meno la conferma di un adeguato controllo giurisdizionale si potrebbe discutere a lungo; ciò che è certo è che al legislatore compete l’onere di compiere delle scelte, operando uno specifico bilanciamento di interessi, che in questo caso deve essere particolarmente rigoroso, indicando anche alla magistratura inquirente per quali reati si possa optare per una più incisiva limitazione della segretezza delle comunicazioni e della riservatezza rispetto alle contrapposte esigenze di tutela della collettività a fronte di specifiche categorie di reato.
Ma a proposito di legislatore, quello attuale, come accennato, recependo le indicazioni formulate dal premier Meloni, considera allo stato del tutto inopportuno uno scontro all’ultimo sangue fra toghe e Governo sulla riforma costituzionale della giustizia, avendo i primi ad ogni occasione espresso la loro netta contrarietà all’epocale riassetto delle loro carriere. Non è un caso che proprio la Meloni, pochi giorni fa, abbia chiarito a Calenda – che le chiedeva di abbinare la separazione delle carriere alle riforme istituzionali – come fosse meglio non sovrapporre ambiti diversi.
Passa in secondo piano, di conseguenza, che il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, all’assemblea dell’Unione camere penali abbia ribadito qualche settimana fa che il ministero presenterà un disegno di legge governativo sulla separazione delle carriere nella seconda parte del 2023, probabilmente dopo l’estate. Trattandosi di un Ddl di natura costituzionale avrebbe bisogno del voto favorevole dei due terzi del Parlamento: risultato difficile da ottenere e a cui dovrebbe seguire poi il referendum. Insomma, una sorta di binario morto.
La linea che prevale è che il mondo della politica e quello della magistratura non devono entrare in collisione sul fronte della giustizia. E allora, nel primo Ddl che dovrebbe essere sul tavolo di Palazzo Chigi tra fine maggio e inizio giugno, dovrebbero entrare “solo” la revisione dell’abuso d’ufficio e del traffico d’influenze, le nuove norme sull’informazione di garanzia e sul primo interrogatorio a cui sottoporre l’indagato, in modo da anticiparlo, rispetto all’eventuale esecuzione di misure cautelari.
Non è chiaro se di questo primo pacchetto di modifica possa far parte anche il ripristino della prescrizione sostanziale e un primo intervento sulle intercettazioni. Tranne forse che per l’ultima voce, non si tratta di dossier particolarmente critici, rispetto ai riferiti rapporti con la magistratura. Non di sola separazione delle carriere si vive e pertanto avvocatura e addetti ai lavori iniziano a interrogarsi se si passerà ad altre misure, come il divieto, per i pm, di ricorrere in appello contro le assoluzioni, ovvero al cruciale tema dell’emanazione dei decreti attuativi della riforma del Csm e alla stretta sui costi massimi delle stesse intercettazioni. Le corde da toccare inizierebbero a essere più delicate e i soliti mal pensanti dei palazzi che contano, spesso però assai ben informati, non esitano a far notare che la Meloni potrebbe scegliere di non giocarsi l’equilibrio dell’attuale sistema politico in una sfibrante guerriglia con le toghe, con buona pace delle migliori intenzioni del ministro, della cui convinzione francamente non riteniamo di poter dubitare.
Insomma, il presidenzialismo val bene l’abiura alla separazione delle carriere. La ragion di Stato, nelle sue varie declinazioni e sfumature, è pur sempre un tratto distintivo del nostro Dna. Per fortuna, probabilmente, ciò che più interessa agli italiani è che il sistema giustizia inizi a funzionare, magari accorciando i suoi tempi. E di questo, prima o poi, ci si inizierà ad occupare davvero.
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