La riforma costituzionale della giustizia è approdata ieri in Consiglio dei ministri dopo l’incontro tra il presidente della Repubblica con il ministro della Giustizia Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Mantovano. Il testo si occupa delle norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare. La separazione delle carriere sembra pertanto prendere corpo, fra le immancabili polemiche della magistratura: le varie mailing list stanno pulsando di richieste di proclamazione dello sciopero e di sollevazione contro il governo. Da una parte forze di maggioranza, governo e avvocatura, dall’altra parte opposizioni e magistratura: questa la netta divisione creatasi a seguito dell’approvazione in Cdm del ddl costituzionale su separazione delle carriere e Alta corte.
Non tutta la categoria dei magistrati, tuttavia, esprime contrarietà alla riforma. Fra i pochi a condividerne la struttura Vitaliano Esposito, che ha concluso cinquant’anni di toga, andando in pensione da Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, oltre a essere stato componente, per l’Italia, della Commission européenne contre le racisme et l’intolérance (ECRI), organo del Consiglio d’Europa, e presidente della rete dei procuratori generali dell’Unione europea (2009-2011).
Procuratore, lei che è stato a capo dei pubblici ministeri d’Italia, vede nel disegno di legge un attentato all’indipendenza ed all’autonomia del pubblico ministero?
Assolutamente no. Vedo la costituzione di due Consigli superiori autonomi ed indipendenti l’uno dall’altro e da ogni altro potere dello Stato. Una scelta coerente con il rito accusatorio adottato nel 1989 e, per la verità, effettuata con oltre trent’anni di ritardo. Questo è il ritardo che abbiamo accumulato nei confronti del Portogallo, che nel 1988 – un anno prima di noi – adottò un codice di rito che ricalcava in pieno il nostro e provvide alla susseguenti riforme ordinamentali, tra le quali appunto, quella delle separazioni delle carriere.
La reazione dell’Anm è arrivata addirittura prima ancora che iniziasse il Cdm quando il presidente ha convocato “in via d’urgenza” la Giunta del sindacato delle toghe, che ha deciso di organizzare un Comitato direttivo centrale per il 15 giugno, aperto anche alle altre magistrature, per assumere iniziative in merito alla riforma. Nel tardo pomeriggio poi una nota ufficiale ha espresso la contrarietà per logica di fondo del ddl sulla separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta corte in cui si rintraccia una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria, responsabile per l’esercizio indipendente delle sue funzioni di controllo di legalità. Da ex Procuratore della Cassazione, non avrebbe preferito l’opzione di due sezioni di un unico Consiglio superiore?
Assolutamente no. Vede professore, come lei ben sa, questa è la scelta operata dalla Francia e trova la sua logica nella circostanza che il codice ivi vigente – sia pur ripetutamente emendato – risale a Napoleone e, non diversamente dal nostro codice Rocco del 1930, è di tipo inquisitorio.
È soddisfatto della diversa ripartizione – un terzo e due terzi – dei componenti, laici e togati, dei due Consigli?
Certamente sì. Specie se si pensa che oggi in Francia la ripartizione è a favore dei laici; sono fifty-fifty, da buoni amici, solo in materia disciplinare. E particolarmente soddisfacente mi sembra poi la qualità dei laici: professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Altro punto critico è il sorteggio dei componenti, siano essi laici e togati. Su questo che giudizio ha?
Sono stato componente di diritto per quattro anni del Consiglio superiore e ritengo, purtroppo, che solo il sorteggio possa costituire un argine contro quella che viene definita degenerazione correntizia. Ma al di là di questa purtroppo banale considerazione, la riforma potrebbe costituire l’occasione per una rivoluzione culturale, fondata sulla formazione di una magistratura omogenea, rispettosa della dignità della persona ed avente come stella polare la Convenzione europea dei diritti umani. Senza più sentir parlare di magistrati garantisti o giustizialisti.
Sempre la nota dell’Anm afferma che gli aspetti allarmanti delle bozze del ddl sono molteplici, creando un quadro disarmante che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo della politica sulla magistratura, che si realizza essenzialmente con lo svilimento del ruolo e della funzione di rappresentanza elettiva dei togati del Csm e con lo svuotamento delle sue essenziali prerogative disciplinari, affidate a una giurisdizione speciale di nuovo conio. Dell’Alta corte disciplinare lei cosa ne pensa?
Sarebbe il fiore all’occhiello del nostro ordinamento una Alta corte sganciata dal Csm e competente nei confronti dei magistrati ordinari, amministrativi, tributari, militari e quant’altro. Ma tornando sulla terra, devo dire che, sul punto, la riforma, assolutamente necessaria, mi sembra qualificante soprattutto perché tesa ad evitare derive corporative. Particolarmente felice mi sembra – sul modello della Grande camera della Corte europea dei diritti umani – la possibilità dell’impugnazione dei provvedimenti dinanzi alla stessa Corte in composizione diversa.
Per le toghe siamo di fronte a una sconfitta per la giustizia, perché la riforma “comporta l’effetto di dare più potere alla maggioranza politica di turno, danneggiando innanzitutto i cittadini”. Lei vede nella proposta formulata dal governo qualche “disegno” per sottoporre il pubblico ministero all’esecutivo?
Per nulla. Se qualcuno mi spiega davvero il pericolo in cui si incorre con logiche argomentazioni – e con riferimento al testo – cercherò di capire e, poi, di rispondere.
(Antonio Pagliano)
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