Com’è noto, da ieri è entrato in vigore il primo pacchetto di norme della c.d. Riforma Cartabia (D.Lgs. n. 149/2022) contenente anche alcune disposizioni con un impatto rilevante sulla disciplina dei rapporti di lavoro. Tra i vari aspetti, la Riforma abolisce il c.d. rito Fornero per le cause aventi a oggetto i licenziamenti e introduce la negoziazione assistita per tutte le controversie di lavoro. Vale, quindi, la pena illustrare le principali novità in materia.
Il rito Fornero è stato introdotto nel 2012 dall’allora ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, e prevedeva un rito speciale accelerato per le controversie in materia di licenziamento “anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro“. In particolare, l’iter processuale introdotto dall’art. 1 della L. 92/2012 prevedeva il ricorso al Tribunale competente – da depositare ex L. 604/1966 e successive modifiche entro centottanta giorni dall’impugnazione del licenziamento – e la fissazione della prima udienza entro i trenta giorni successivi. A tale udienza il Giudice procedeva con gli atti istruttori ritenuti più opportuni, “omettendo ogni formalità non essenziale al contraddittorio“, e decideva poi la causa con ordinanza immediatamente esecutiva. A questa prima fase sommaria potevano seguire ben altri tre gradi di giudizio (opposizione/appello/cassazione) regolati da norme analoghe a quelle previste dal rito “tradizionale” del lavoro.
Di fatto, dunque, per le cause in materia di licenziamento erano fino a ieri previsti ben quattro gradi di giudizio, che nei casi di licenziamento economico si cumulavano al tentativo obbligatorio preventivo di conciliazione pure introdotto dalla riforma Fornero, creando così un meccanismo stratificato e “farraginoso” che non rispondeva alla ratio legis di assicurare celerità e certezza alla risoluzione delle controversie nelle quali sono in gioco diritti fondamentali come quello alla conservazione del posto di lavoro.
Peraltro, l’equivocità del testo normativo ha propiziato pronunce giurisprudenziali diametralmente contrastanti – come già evidenziato su questa testata – con la conseguenza paradossale che le parti sovente finivano per “litigare su come litigare” discettando (talora fino in Cassazione) sul rito processuale corretto (“ordinario” ex art. 414 c.p.c. o Fornero) laddove, unitamente all’impugnazione del licenziamento, il lavoratore chiedesse differenze retributive o competenze di fine rapporto connesse, ovvero sul rito da utilizzare in fattispecie particolari, come nel caso di licenziamento dei dirigenti (cfr. ex plurimis Corte d’appello di Bologna 19.11.2014; Trib. Roma 23.10.2014, Cass., 16 agosto 2016, n. 17107; Cass., 13 giugno 2016, n. 12094; Cass. n. 19861/2018; Trib. Milano del 17.7.2021).
La Riforma Cartabia cambia nuovamente le regole abrogando, da un lato, i commi da 47 a 69 dell’art. 1 della L. 92/2012 e introducendo, dall’altro, il nuovo articolo 441 bis del Codice di procedura civile, denominato “controversie in materia di licenziamento“, con ciò prevedendo un canale preferenziale sulla materia e attribuendo ai giudici un significativo margine di discrezionalità.
In particolare, secondo le nuove disposizioni, i procedimenti aventi a oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nei quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, anche quando debbono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto, “hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti” e alle stesse devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze. Il Giudice, tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso, può ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione del ricorso al convenuto e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni. Sempre in relazione alle esigenze di celerità, viene previsto che all’udienza di discussione il giudice stabilisca se trattare congiuntamente alla domanda di reintegrazione eventuali domande connesse oppure se separarle. Il Legislatore precisa, infine, che anche i giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione.
Per il resto, il procedimento è regolato dalle norme ordinarie del rito del lavoro, ormai di fatto sostanzialmente ben collaudate da 50 anni di pratica processuale.
Molto dipenderà dunque da come nella concreta prassi giudiziaria e nelle programmazioni delle udienze dei singoli Tribunali del Lavoro verrà effettivamente attuato il principio di “celerità” dichiarato nella Riforma.
La negoziazione assistita, invece, è stata introdotta dall’art 2 del D.L. n. 132 del 2014 (convertito con modificazioni dalla legge 162 del 2014) e consiste in un accordo mediante il quale le parti convengono di risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati. Originariamente, la legge escludeva espressamente dal campo di applicazione della predetta norma le controversie di lavoro; con la Riforma Cartabia, invece, anche queste ultime possono essere oggetto di negoziazione assistita, con ciò attribuendo in materia una funzione importante all’avvocatura. Si tratta di una possibilità per le parti e non di un obbligo, non costituendo “condizione di procedibilità della domanda giudiziale“.
Ferma la possibilità di conciliare le cause in materia di lavoro presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative ai sensi dell’art. 412-ter del codice di procedura civile, le parti possono quindi ricorrere alla negoziazione assistita alla presenza di almeno un avvocato per ciascuna e, volendo, anche di un consulente del lavoro. Per l’instaurazione della negoziazione è necessaria una convenzione tra le parti in cui venga identificata la ragione del contendere, le richieste del lavoratore, le eventuali controdeduzioni del datore di lavoro, e il termine temporale previsto per l’espletamento della procedura. L’accordo eventualmente raggiunto sarà “inoppugnabile” ai sensi del comma 4 dell’art. 2113 del codice civile, così come avviene per le altre conciliazioni che si raggiungono in sede “protetta” (quali ad esempio la Commissione istituita presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, le sedi sindacali, le Commissioni universitarie di certificazione, ecc.). L’accordo dovrà poi essere trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, a una delle Commissioni di certificazione previste dall’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003.
La verifica giurisprudenziale che si aprirà nei prossimi mesi darà conto della bontà o meno della Riforma in relazione agli aspetti qui evidenziati. Si può, comunque, osservare fin d’ora che le novità introdotte sembrano andare nella giusta direzione: da un lato, infatti, l’abrogazione del rito Fornero era stata chiesta da più parti e da vari anni al Legislatore proprio per correggere un sistema processuale bizantino, incerto, ed esposto a ben quattro possibili decisioni divergenti di diversi Giudici del Lavoro sullo stesso licenziamento, caso unico al mondo e non reperibile neppure in campo penale per i delitti più efferati. Dall’altro lato, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita anche per le cause di lavoro potrebbe costituire uno strumento in più (oltre le attuali procedure in sede protetta) veloce ed efficace per affrontare direttamente e risolvere ancor più speditamente le vertenze lavoristiche, visto che sarà gestita interamente dai legali di fiducia delle parti, senza necessità della presenza e del controllo (il più delle volte meramente formale) di soggetti terzi, pubblici o privati che siano, e con risparmio di oneri economici
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