Ore di riflessione in casa M5s sul dossier giustizia. Il premier Draghi ha posto la fiducia sulla riforma Cartabia, mettendo in risalto che sarà possibile modificare il testo in Parlamento ma senza snaturarlo. Il ministro Dadone non ha escluso una valutazione sulle dimissioni in caso di mancato cambio di passo, ma come si comporteranno i parlamentari pentastellati al momento del voto?



A questa domanda ha risposto Lorenzo Borrè, avvocato dei pentastellati espulsi, in una lettera a Dagospia. Il giurista ha spiegato che, in base alla prassi dei vertici M5s, è vincolante l’obbligo di votare la fiducia ogni volta che venga posta da un governo sostenuto dal partito, «tant’è che l’ultima infornata di provvedimenti disciplinari è stata adottata per il mancato voto di fiducia al governo presieduto da Mario  Draghi sul presupposto, appunto, che la locuzione ‘presidente del consiglio dei ministri espressione del MoVimento 5 Stelle”  sia da intendersi come “Premier di un governo di cui fa parte il M5S”».



“M5S IN TRAPPOLA SULLA GIUSTIZIA”

Secondo quanto ricostruito da Borrè, i parlamentari M5s devono votare la fiducia ogni volta che Draghi la richieda e per questo motivo si tratta di una vera e propria trappola. «Ponendo la Fiducia sulla riforma Cartabia, riforma che sta alla polarità opposta della riforma Bonafede, il Premier mette i pentastellati di fronte a un bivio», la precisazione del giurista. Il bivio in realtà è un trivio. La prima ipotesi prevede il voto di fiducia, rinnegando così i principi giustizialisti e abbracciando il garantismo. La seconda ipotesi prevede che i parlamentari M5s non votino la fiducia (o l’astensione) con auto-espulsione in massa dal partito. La terza e ultima ipotesi è già stata ventilata negli scorsi giorni: «Uscire dal governo prima che si voti la fiducia». Insomma, attese vibranti novità…

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