Dato per favorito alla vigilia, nonostante avesse ricevuto solo una preferenza dalla commissione incarichi direttivi del Csm, l’attuale procuratore di Napoli (ed ex capo di gabinetto del ministro della Giustizia) Gianni Melillo è stato eletto pochi giorni fa nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Iscritto alla corrente progressista di Area, il neo capo della Direzione nazionale antimafia (Dna) ha ottenuto i 13 voti, ovvero la maggioranza assoluta dei plenum, sconfiggendo così il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che di voti ne ha ricevuti 7, mentre 5 sono stati quelli raccolti dall’attuale procuratore aggiunto della Dna Giovanni Russo.



Figura di grande prestigio e innato carisma, il procuratore di Napoli in passato ha già lavorato a lungo alla Procura nazionale antimafia, vantando inoltre anche una parentesi all’ufficio giuridico del Quirinale. Gratteri, da sempre in prima linea nella lotta contro la ’ndrangheta, era l’unico che poteva contendergli la poltrona, potendo contare sulla notoria incisività con la quale ha sempre dato corpo all’azione di contrasto al fenomeno mafioso; tuttavia la sua candidatura non è andata oltre i 7 voti di cui era accreditato alla vigilia.



Molto scalpore hanno suscitato le parole pronunciate in suo favore, durante il dibattito in plenum, dai consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo. L’ex pm del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ha infatti ricordato che la nomina di cui si discuteva rappresentava “una scelta di politica giudiziaria alta, che non deve essere condizionata da giochi di potere di nessun tipo”, evidenziando come di recente siano state “acquisiste notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto. In questa situazione una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura del dottor Gratteri e non verrebbe compresa da quella parte di opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto”.



Ciò che tuttavia ha più impressionato è stato l’esplicito richiamo a non cadere negli errori che in passato, troppe volte, hanno tragicamente marchiato le scelte del Csm in tema di lotta alla mafia e che in certi casi hanno creato quelle condizioni di isolamento istituzionale che hanno costituito il terreno più fertile per omicidi e stragi. Concetto fortemente ribadito dal consigliere Ardita, il quale ha sottolineato che ove non si fosse optato per la nomina di Gratteri, se ne sarebbe dovuto ricavare che la storia non ci abbia insegnato nulla, rafforzando la tradizione poco lusinghiera del Csm ad essere considerato organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento. L’esclusione di Gratteri sarebbe stata, pertanto, non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia.

È apparso chiaro il riferimento al voto con cui, nel 1988, lo stesso plenum del Csm preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone per succedere ad Antonino Caponnetto nel ruolo di consigliere istruttore della Procura di Palermo.

Per la verità, nulla di più lontano esiste fra la figura di Meli e quella di Melillo. Non siamo del tutto convinti che le suggestioni adoperate dai due prestigiosi consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura, pur comprendendone lo scopo, vadano nella giusta direzione. La figura di Melillo deve essere annoverata fra quelle caratterizzate da un’elevatissima professionalità e un’alta preparazione oltre che giuridica anche organizzativa, con particolare attitudine ad esercitare l’arte del comando e del coordinamento di uomini e mezzi. Alcuna ombra deve quindi essere alimentata, anche indirettamente, nei confronti di un uomo che sarà chiamato a ricoprire un ruolo centrale nelle strategie di contrasto ai fenomeni mafiosi, soprattutto in considerazione della imminente stagione dell’attribuzione delle risorse del Pnrr che tanta gola fanno agli ambienti criminali.

Tuttavia, al di là delle parimenti degne figure personali di Melillo e Gratteri, non può non osservarsi che anche in questa circostanza la logica delle correnti sembra avere prevalso sugli alti meriti personali dei contendenti.

Per il procuratore di Napoli hanno votato, compattamente e prevedibilmente, i cinque consiglieri di Area (la corrente di sua appartenenza), i consiglieri di Unicost (la corrente di centro) e i due capi della Cassazione, oltre ai due membri laici indicati dai M5s, e il membro laico in quota Forza Italia, noto avvocato napoletano. Per Gratteri si sono invece espressi, oltre agli già citati consiglieri Di Matteo e Ardita, gli altri due togati della più giovane delle correnti, Autonomia & Indipendenza, i due laici in quota Lega, nonché il terzo laico in quota M5s. A Russo, terzo candidato, sono andati i voti dei togati della corrente di appartenenza, ovvero Magistratura indipendente, e quello dell’altro laico in quota Forza Italia.

Se pertanto i voti dei consiglieri laici non si sono mossi per blocchi granitici, per i consiglieri togati è valso l’esatto opposto, con il conseguente (e per certi versi naturale) sostegno indirizzato al proprio candidato di corrente. In quest’ottica, i voti raccolti da Gratteri, non iscritto ad alcuna corrente, hanno un peso particolare e rendono di ancora più plastica comprensione la difficoltà di sganciarsi da certe logiche di parte a favore di quelle legate al merito e ai contenuti.

Al neo procuratore nazionale vanno i migliori auguri di buon lavoro, certi che, come sempre accaduto nel corso della sua carriera, egli saprà attuare la capacità di coordinamento, senza sottrarsi dall’azione di forte impulso investigativo di cui la lotta alla mafia nel nostro paese ha ancora, dopo trent’anni dalle stragi mafiose, straordinario bisogno.

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