Lo scorso mercoledì, la Camera ha approvato in via definitiva con 199 voti favorevoli e 102 contrari, senza subire modifiche rispetto alla versione approvata a febbraio in Senato, il ddl Nordio recante “modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”. Si tratta del primo pacchetto di riforme del ministro della Giustizia approvato in Consiglio dei ministri più di un anno fa, il 15 giugno 2023.
Richiamiamo, per comodità, le principali novità del provvedimento, composto da nove articoli. Esse sono le seguenti.
a) È abolito il reato di abuso d’ufficio, ovvero la condotta che puniva il pubblico ufficiale che, violando consapevolmente leggi, regolamenti o l’obbligo di astensione, cagionava un danno ad altri o si procurava un vantaggio patrimoniale;
b) È introdotta la previsione che nei verbali delle comunicazioni intercettate non andranno inseriti dati che “consentono di identificare soggetti diversi dalle parti”, prevedendo altresì che il divieto di pubblicazione cade quando il contenuto intercettato sia “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”;
c) Si esclude il rilascio di copia delle<intercettazioni quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori;
d) Si rafforza la tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni del difensore, estendendo il divieto di acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato ed il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato, introducendo altresì l’obbligo per l’autorità giudiziaria o per gli organi ausiliari delegati di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione, quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientrano tra quelle vietate;
e) Si limita l’ambito di applicazione del reato di traffico di influenze, prevedendo che la mediazione sia ritenuta illecita solo se finalizzata a far compiere un reato ad un pubblico ufficiale, modificando il minimo edittale della pena: da 1 anno e 6 mesi a 4 anni e 6 mesi;
f) Si introduce, prima dell’applicazione di una misura cautelare, un contraddittorio preventivo nei casi in cui, per il tipo di reato o per la concretezza dei fatti, durante le indagini preliminari non sia necessario “l’effetto sorpresa” del provvedimento;
g) Si introduce la collegialità per l’adozione dell’ordinanza applicativa della custodia in carcere nel corso delle indagini preliminari;
h) Si cancella la facoltà del pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione di primo grado, ad esclusione dei reati più gravi, compresi quelli contro la persona che determinano particolare allarme sociale.
Inevitabile la levata di scudi della magistratura. Secondo il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, “di questo passo sarà sempre più difficile indagare su colletti bianchi e Pubblica amministrazione”, aggiungendo che “da Tangentopoli in poi si è fatto di tutto per rendere più difficoltosa l’attività di indagine sui reati contro la pubblica amministrazione”. L’ANM ha invece lanciato l’allarme affermando che tutti coloro che sono stati condannati per abuso d’ufficio si rivolgeranno al giudice per chiedere l’eliminazione della condanna, così da realizzare una piccola amnistia per i pubblici ufficiali, con 3-4mila persone, o forse di più, che chiederanno la revoca della condanna”.
Proviamo a fissare un paio di punti fermi.
Non è affatto corretto parlare di “riforma della giustizia”. Siamo di fronte, piuttosto, a marginali modifiche del codice penale e di quello processuale, che tuttavia rappresentano espressioni di un chiaro progetto politico, dall’elevato valore simbolico. L’incidenza pratica sarà infatti assai scarsa, così come di certo non si incide sui tempi del processo o sui carichi giudiziari. Ma questo è il primo pacchetto (forse pacchettino) che il Governo porta a casa e lo fa, fra l’altro, con il sostegno di un’ampia maggioranza, comprendente il voto favorevole dell’ex terzo polo. Come dire, che la giustizia inizia a essere un argomento di convergenza e non più divisivo come negli ultimi anni. Non è un dato di poco conto.
E non a caso, la maggioranza sembra accelerare per portare a compimento entro l’anno la riforma complessiva della disciplina delle intercettazioni che poggia su tre gambe: una è già passata l’altro giorno, la seconda stabilisce le modalità con cui vengono sequestrati smartphone e dispositivi digitali, mentre la terza gamba riguarda i limiti alla proroga delle intercettazioni.
Il fulcro di questo progetto è, come ha riferito lo stesso ministro, dare un’attuazione radicale all’articolo 15 della Costituzione che indica nella segretezza delle conversazioni l’altra faccia della libertà, in nome del principio che le conversazioni sono libere intanto che sono segrete, invocando, invero non a torto, come la Corte europea 20 giorni fa abbia condannato l’Italia con una motivazione spietata sul nostro sistema giuridico, perché sono state intercettate persone non iscritte nel registro degli indagati. Il vero fronte quindi sarà questo. L’impegno del governo è che tutto questo cambierà.
Entrando nel merito, quanto alla cancellazione dell’abuso d’ufficio, occorre ricordare i 5.140 procedimenti istruiti contro gli amministratori, che hanno prodotto solo 9 condanne. Il punto quindi è capire se contano di più quei 9 funzionari pubblici che la passeranno franca o quei 5.131 che non subiranno più le forche caudine del processo mediatico e la sospensione dell’incarico in virtù della legge Severino, fino ad arrivare a un’assoluzione o una archiviazione.
La cancellazione di una fattispecie reca sempre dei disequilibri nel sistema e lascia delle aeree di impunità, tuttavia è inconfutabile che ci troviamo in presenza di una norma che è stata mal applicata dalle procure della Repubblica, con annesse conseguenze ed effetti. Certo, la lotta alla corruzione ne esce indebolita o quanto meno non rafforzata, ma d’altronde non era certamente questa la priorità. Ed anche questa è il frutto di una scelta politica.
Analoghe considerazioni possono essere formulate sul fronte delle modifiche della disciplina della custodia cautelare. Entrambe le scelte, ovvero l’interrogatorio preventivo e il collegio di gip, appaiono ispirate ad una logica ben precisa: ridurre l’applicazione delle misure cautelari. Quelle fatte sono scelte coraggiose, la cui applicazione pratica appare complessa e richiede sforzi organizzativi non facilmente immaginabili vista la carenza strutturale di organico.
Insomma, al di là del merito dei singoli interventi di modifica, va colto il dato d’insieme: dopo decenni di “soggezione” della politica nei confronti della magistratura, quanto appena approvato in Parlamento rappresenta il segno di una inversione di marcia. Non occorre leggerla in controluce per capirne il vero significato: la legge appena approvata mira a limitare alcuni fra i principali abusi dell’azione giudiziaria di questi anni, rappresenta un’inversione di marcia che il ministro Nordio e questo governo hanno avuto il coraggio di affrontare. Le modifiche che stiamo commentando vanno interpretate quindi principalmente come un messaggio che il potere politico lancia al potere giudiziario: l’aria è cambiata.
D’altronde, la piazza non sostiene più le levate di scudi della magistratura, il cui arroccamento, al contrario, la allontana sempre di più dal sostegno della gente. Resiste, com’è giusto che sia in un Paese democratico, una parte del sistema mediatico, diciamo quello più sensibile alle ragioni dell’indignazione della magistratura. Ma, a differenza di quanto ad esempio accadde nel ’94 con il decreto Biondi contro gli eccessi della custodia cautelare in carcere, il sostegno dell’opinione pubblica non sembra accompagnare il mantra borrelliano del “resistere, resistere, resistere”. Il tutto, in combinato disposto con la vicenda giudiziaria di Toti, la cui posta in gioco sta diventando sempre più alta, ovvero una prova di forza per dimostrare che attraverso il finanziamento ai politici non si commetta corruzione. È la nemesi di Tangentopoli, che lo si voglia riconoscere o meno.
PS: l’approvazione del ddl Nordio sull’abuso d’ufficio e sulle intercettazioni, col voto favorevole dei centristi dell’opposizione, ha dato al percorso della “madre” di tutte le riforme della giustizia nuova linfa, così che la macchina della separazione delle carriere si è messa in moto. Se si considerano le dichiarazioni fatte in aula a Montecitorio dagli esponenti di Iv, Azione e +Europa, si può ragionevolmente prevedere che da parte loro ci sarà un sostegno anche al testo costituzionale sul nuovo Csm e annessa separazione delle carriere. Non è forse un caso che l’altro giorno, in commissione Affari costituzionali della Camera, siano stati fatti dei passi avanti significativi, incardinando le audizioni, che avranno inizio la prossima settimana.
Stiamo solo all’inizio, ma l’autunno si preannuncia caldo.
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