Non si può non partire dalla prescrizione di cui, in tanti oltre chi scrive, qui si sono già interessati, come d’altronde hanno praticamente fatto tutti o quasi i laureati in giurisprudenza di questo paese, che grosso modo risultano di poco inferiori al numero di commissari tecnici della Nazionale di calcio.

Ebbene, ciò che subito colpisce è che moltissimi di questi hanno espresso opinioni molto affini fra loro. Professori universitari, molti giudici, avvocati hanno sostanzialmente espresso grandi perplessità, per usare un eufemismo, nei riguardi dell’oramai legge che blocca la prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado.



Dal 1930 all’avvento di Berlusconi, le norme del codice penale che di tale argomento si occupano non sono state mai sfiorate da alcun intervento legislativo. I processi evidentemente non si prescrivevano o, se accadeva, non interessava a nessuno. I più esperti potranno subito obiettare che almeno fino al 1988 le prescrizioni erano rarissime, perché con il vecchio codice i processi erano più celeri. Poi, certo, con il nuovo codice, la dilatazione dei tempi è diventata un’arma processuale.



Tuttavia ciò che non si dice con abbastanza chiarezza è che quest’arma funziona solo in circoscritte situazioni, ovvero in presenza dell’inizio di un processo in prossimità della data di prescrizione. Se, per dirla in termini pratici, oggi inizia a celebrarsi un processo la cui prescrizione avverrà fra 5 anni, difficilmente la strategia sarà improntata alla dilatazione dei tempi. Se invece inizia oggi un processo che fra uno o due anni si prescriverà, allora la strategia processuale potrà giovarsi di una probabile prescrizione.

A fronte di ciò, finora non si è mai intervenuti sulle vere cause che producono un rinvio a giudizio dopo anni dai fatti in contestazione.



Questi tempi, quelli relativi allo svolgimento delle indagini e del conseguente esercizio dell’azione penale, sono assai spesso enormemente dilatati. Questo è il male principale del nostro sistema. Questo produce sentenze che arrivano poco prima o poco dopo la maturazione della prescrizione, ma ciò che davvero deve essere spiegato all’opinione pubblica è che un verdetto troppo lontano dal momento dei fatti non può essere quasi mai considerato giusto e pertanto provoca sempre ulteriore malanimo e nuovo risentimento nei confronti dello Stato e dei suoi rappresentanti.

Si pensi a un soggetto che dopo anni da un fatto di reato commesso non in modo seriale e reiterato, magari in giovane età, si veda irrogare una pena che compromette la sua stabilità professionale e familiare, pure faticosamente raggiunta. Si badi, il “fine processo mai” esiste già ed esiste, giustamente, per i reati più gravi.

Per un omicidio, l’oblio non scatta mai e questo è da tutti i consociati considerato giusto. Se ho ucciso, anche dopo 20 anni, posso, anzi devo essere condannato se colpevole e se nel frattempo ho cambiato vita resta comunque giusto che a fronte dell’azione che ho commesso venga comunque sottoposto alla relativa pena. Ma il colpevole di una corruzione, di un furto, di un abuso edilizio, è giusto che venga condannato dopo anche 20 anni dai fatti commessi?

Su questi aspetti, cruciali, la proposta del governo di contenere i tempi dei tre gradi di giudizio senza introdurre la prescrizione processuale appare molto velleitario.

La verità è che uno Stato serio non copre le sue inefficienze con rimedi retorici. Chi afferma a gran voce che in molti paesi la prescrizione non esiste, dovrebbe anche dire qual è in quei paesi la durata media dei giudizi. Su temi così delicati, come la vita delle persone, non si può intervenire con provvedimenti parziali, in attesa di futuri correttivi o di ipotetiche integrazioni.

Come invece si è già avuto occasione di rappresentare anche in sede di audizione in Commissione Giustizia, occorre, se si vuole provare ad agire sul sistema in modo equilibrato e organico, tenere ben distinti gli istituti della prescrizione del reato dalla prescrizione processuale, agendo su quest’ultima per fissare preclusioni di fase vere.

Allo stesso modo occorre intervenire contestualmente con un progetto organico sui temi delle priorità delle indagini nei programmi organizzativi degli Uffici di Procura, sulle priorità nella trattazione dei processi, sul processo telematico penale, sui meccanismi di rinnovazione del dibattimento e sull’appello. Su questi ultimi aspetti, per la verità, le formulate governative proposte sembrano già più interessanti e aderenti al dato reale.

Ben si comprendono le ragioni per le quali autorevoli fonti del Governo hanno nei giorni scorsi dichiarato, all’esito di un precedente confronto fra le parti, che si è aperta una fase nuova. Aggiungendo, poi, che risultava significativo l’abbandono di rigidità e che la riforma del processo sarebbe andata in Consiglio dei ministri la settimana successiva, come è in effetti accaduto. Tuttavia, resta fermo che solo l’introduzione di una “prescrizione processuale” a seconda dei gradi di giudizio o della sentenza di assoluzione o condanna possa adeguatamente bilanciare l’introdotto blocco della prescrizione. E di tale evenienza non si rinviene traccia.

Compare, invece, nella proposta la differenziazione tra la sentenza di assoluzione e quella di condanna, limitando solo a quest’ultima la sospensione, rectius il blocco, della prescrizione. La proposta, formulata dal Presidente del Consiglio, non ci sembra risolutiva, al di là dei dubbi di costituzionalità che ne derivano. Per la Costituzione, la presunzione di innocenza resta tale fino alla sentenza definitiva. E questo vale tanto per l’innocente quanto per il colpevole.

L’auspicio, allora, non può che essere che si vada ben oltre questa proposta, ragionando in termini di prescrizione processuale. Guarda caso, una proposta elaborata dalla Commissione Riccio nell’ultima proposta organica di riscrittura del sistema processuale. Il ministro era Mastella e quel governo cadde proprio per un’inchiesta giudiziaria a carico del ministro stesso e della di lui moglie, poi entrambi assolti. Con un appello della Procura della Repubblica, quelle assoluzioni, forse, sarebbero ancora in attesa di passare in giudicato.

Ha ragione il responsabile del Pd quando dice che un processo che dovesse durare non più di 5 anni rappresenterebbe un traguardo epocale e che così la bomba atomica del blocco della prescrizione non esisterebbe più. Il punto è come si decide di provare a raggiungere questo più che condivisibile obiettivo e per farlo crediamo occorrerebbe uno sforzo ulteriore, magari abbracciando un approccio da visionari, avendo la forza di guardare lontano.

(2 – continua)