È arrivato il primo via libera alla riforma della giustizia che dovrebbe, nelle intenzioni, far pace tra politica e giustizia. Chiudere con le manette giornalistiche per ipotesi di reato fumose come l’abuso di ufficio ed impedire che arrivi un “tal quale” degli atti giudiziari sui giornali. Roba non eccezionale sul piano tecnico, ma rivoluzionaria sul piano politico. Per anni abbiamo letto delle più intime cose di personaggi pubblici e meno pubblici, stralci di discorsi e telefonate riportati sui giornali o addirittura recitati in tv da attori. Un ventennio durante il quale il giudizio del tribunale mediatico era più rilevante dei tribunali veri. Vizio ormai connaturato nella società italiana, che prima legge dei misfatti del potente sulle colonne dei quotidiani e si indigna, e poi non scopre quasi mai che quei malfattori spesso non avevano commesso, in realtà, nessun reato. Una deriva, secondo pochi, che andava corretta e che ora rischia di diventare proibita senza grandi schiamazzi di piazza.
Pare che la società sia alquanto indifferente a questo cambio di paradigma e la cosa va un minimo compresa. A che cosa è servito rendere mediatici i processi? Di quel periodo sono rimasti pochi condannati in galera, e tanti famosi perché intercettati. Inoltre, molti dei protagonisti di misfatti gravi se la sono cavata benissimo anche dopo l’esposizione mediatica. Mentre tanti, troppi, sono usciti dalle inchieste innocenti con le vite monche e le prospettive distrutte da narrazioni fedeli degli atti giudiziari, salvo poi scoprire nei processi che quei fatti non erano reato.
Non solo. Rendere pubbliche circostanze private, quando riguardano indagati non esposti pubblicamente, rappresenta un violazione gravissima della sacralità dell’individuo che ha ben il diritto di esprimersi e dire ciò che vuole nelle proprie conversazioni. Certo resta il diritto sacrosanto della stampa di cercare le notizie e pubblicarle, ma una notizia non è per forza un reato e non si può utilizzare un brogliaccio delle intercettazioni come un’enciclopedia delle nefandezze da descrivere quando queste sono a volte frutto solo di un’abile costruzione dei dialoghi.
A questo si aggiunge un posto in soffitta per reati poco chiari come l’abuso di ufficio. Una condotta difficile da configurare, ma che porta le procure ad aprire migliaia di fascicoli e generare poche decine di condanne.
Eppure tutto ciò non è il fatto più rilevante. La vera questione è chiudere, o meno, con una fase storica in cui la giustizia è stata usata come strumento politico ben oltre la politica, e le intercettazioni usate, nella loro pubblicazione o nel loro occultamento, come strumento di pressione sulla politica aizzando o tenendo all’oscuro l’opinione pubblica.
La partita non è ancora chiusa e manca il voto della Camera. Ma il voto al Senato indica la strada che la maggioranza parlamentare vuole imboccare con parte dell’opposizione. E fa impressione che in questi giorni siano in strada gli agricoltori con i trattori per rivendicare una gestione più vantaggiosa delle risorse fiscali a loro dedicate, ma non vi siano piazze o piazzette ricolme di cittadini indignati. Che fine hanno fatto i girotondi, le piazze grilline, i seguaci di Di Pietro? Se ancora in armi, si sono forse accorti anche loro che a furia di indignarsi non hanno ottenuto molto, anzi. La classe politica che il populismo giudiziario lo ha coccolato in realtà ha solo cavalcato l’onda dell’indignazione per riempire le urne e farsi eleggere, ma, al netto dei reati non commessi, la gestione della cosa pubblica non è migliorata granché. Perché allora interessarsi alle vicende delle amanti di un potente se poi, esaurito lo spirito voyeuristico, resta ben poco di cui godere?
Di fronte a tragedie come le guerre, alle difficoltà economiche, alle difficoltà sociali, forse i cittadini iniziano a maturare l’idea che serve una giustizia rapida ed efficiente, corretta e imparziale e che fare il tifo per il pm o per la procura ha solo portato molti di loro alla Camera e al Senato ma scarsi sono stati i benefici per chi li ha sostenuti.
Per ora la cosa sta passando in sordina, senza gran clamore, e se arriverà alla conclusione del suo iter legislativo sarà l’inizio della fine di una fase storica iniziata trent’anni fa e che ha perso il suo abbrivio nella società. E tutti, dai giornalisti ai magistrati che l’hanno cavalcata, dovranno iniziare a farsene una ragione. Per ora siamo al primo tempo. Ma potete scommettere che si arriverà ai supplementari. La partita è lunga e le squadre combatteranno fino alla fine. Qualunque essa sia.
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