Fra gli squilli di tromba che caratterizzano l’inaugurazione dell’anno giudiziario, alla presenza del Presedente della Repubblica (ma con l’assenza della premier), si è assistito alla celebrazione della riforma Cartabia che secondo i dati inizierebbe a produrre i suoi frutti in relazione alla tanta agognata diminuzione dei tempi di celebrazione dei processi, sia nel penale che nel civile, in linea con gli obiettivi fissati dal Pnrr. Nel settore penale le pendenze si sono ridotte del 13% nei tribunali e del 6,5% nelle Corti d’appello, mentre nel civile il numero dei procedimenti definiti è aumentato dell’8,3% in primo grado e del 10,6% in appello.
Nonostante il dato incoraggiante, il mondo della giustizia continua a registrare tensioni fra tutti i suoi attori, come dimostrato ad esempio dalla circostanza che mentre il presidente della Cassazione ha speso parole al miele rispetto all’indispensabile collaborazione con l’avvocatura a cui ha riconosciuto un ruolo essenziale, dal vertice dell’avvocatura si è evidenziato che nel processo civile si sono esclusi gli avvocati dalle udienze e nel penale è stato frustrato il raggiungimento dell’agognata parità delle parti, che resta impossibile finché non ci sarà la separazione delle carriere. Naturale dialettica, si dirà, ma è assai diffusa fra gli avvocati la convinzione che la magistratura persegua l’obiettivo della costante riduzione della presenza fisica del difensore nel processo, circoscrivendola prima grazie all’emergenza Covid e ora in nome della riduzione dei tempi di celebrazione dei processi.
Restano altresì forti le tensioni fra Governo e magistratura. La relazione tenuta dal ministro Nordio alle Camere sullo stato della Giustizia, illustrata pochi giorni prima delle celebrazioni per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, è stata duramente attaccata dal direttivo dell’Anm; numerosi i fronti aperti: dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla stretta sulle intercettazioni alla carenza di fondi, tante le criticità segnalate, con il conseguente invito al guardasigilli ad “attuare una reale politica di sostegno dei magistrati, impegnati a garantire il migliore servizio ai cittadini e l’attuazione degli obiettivi del Pnrr, garantendo mezzi e risorse”.
A surriscaldare il clima era anche arrivato un paio di giorni prima in Aula al Senato l’emendamento proposto da Azione sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto dei testi delle ordinanze di custodia cautelare, così come sempre a Palazzo Madama è attesa poi la riforma della prescrizione, dopo il via libera della Camera dei giorni addietro. Il sindacato dei magistrati continua a dolersi che il ministro non li ascolti ed esattamente al contrario, invece di indicare strumenti che possano essere di ausilio al quotidiano impegno dei magistrati e dei loro collaboratori nel rendere il migliore servizio a tutela dei diritti dei cittadini, manifesta il timore “per il preteso eccessivo potere degli uffici di procura e per i pretesi abusi delle intercettazioni o di altri strumenti di ricerca della prova, essenziali nel contrasto delle forme di criminalità organizzata o di gravi delitti contro l’economia e la pubblica amministrazione”.
Qualche giorno prima si era anche consumato un inedito scontro fra vicepresidente del Csm e magistratura. Nell’elogiare la nuova consiliatura, Pinelli ha accusato il precedente Consiglio di aver esondato rispetto alle proprie funzioni, rappresentando, di fatto, una “terza Camera”, evidenziandone le inefficienze superate grazie ad un particolare impegno dall’attuale consiliatura che ha recuperato l’arretrato, completato le nomine nella metà del tempo, azzerato il calendario del disciplinare. Le domande incalzanti dei giornalisti su una eventuale responsabilità diretta di Mattarella nelle degenerazioni precedenti culminate nel “Palamara gate” ha fatto scoppiare una polemica che ha di fatto distolto dal merito delle dichiarazioni di Pinelli.
Questi forse voleva solo ribadire l’ovvio, visti gli innegabili scandali, tuttavia la polemica ha rafforzato l’impressione che essi siano stati rimossi senza la dovuta elaborazione e assunzione di responsabilità. Non sarà certo un caso se solo l’unico togato indipendente del Csm non si sia accodato alle dure critiche che tutti gli altri consiglieri hanno mosso al vicepresidente circa le formulate affermazioni sulla natura e ruolo non politico dell’organo di autogoverno, precisando che sebbene qualche timida novità, rispetto al passato, sicuramente emerga, ancora moltissima strada c’è da percorrere affinché il Csm sia effettivamente affrancato dalle note logiche lottizzatorie che rappresentano, ne siamo convinti, la prima e formidabile minaccia all’indipendenza del singolo magistrato. Una minaccia, ci sentiamo di aggiungere, che si è ancora una volta palesata nella selezione dei vertici togati della Scuola superiore della magistratura, che sono stati scelti a distanza di due mesi dalla chiusura delle audizioni e dopo l’ennesima battaglia tra correnti.
Insomma, la situazione è grave ma non è seria e poco importa se, mentre fioccano polemiche e disegni di legge, nei tribunali si devono quotidianamente affrontare le spesso vane attese di giustizia dei cittadini. Come ha ricordato il presidente della Corte d’appello di Milano, “purtroppo, viviamo una bulimia riformatrice, in cui una grande riforma divora la precedente, già dimenticata, senza mai considerare i risultati ottenuti, anche per valorizzare i lati positivi e correggere gli altri. Si ignora il principio basilare per cui anche la giustizia, come qualsiasi organizzazione, richiede una relativa stabilità”. Stabilità che tuttavia, occorre aggiungere, passa anche dalla corretta ridefinizione del rapporto fra politica e magistratura.
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