La recente intervista rilasciata al Sussidiario dalla gip Maria Luisa Miranda ha suscitato un diffuso interesse, in particolar modo all’interno della magistratura, stimolando nuovi interventi. Come quello del dott. Paolo Sirleo, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che in passato ha ricoperto il medesimo incarico nelle procure di Napoli e Reggio Calabria, oltre a trascorrere un breve periodo all’Ispettorato generale del ministero della Giustizia. 



Nei giorni scorsi il procuratore Gratteri, con cui lei lavora, ha rilasciato una serie di interviste in cui ha fortemente criticato il governo sui temi della giustizia. Qual è la sua opinione in merito?

Devo dire che concordo pienamente con i contenuti espressi. Penso che abbia fatto molto bene a intervenire, spiegando le ragioni per le quali l’azione del governo è assolutamente deficitaria rispetto ai reali problemi della giustizia. È giusto spiegare ai cittadini, come fa il Sussidiario, alcuni effetti causati dalle riforme in cantiere. Primo tra tutti l’improcedibilità, istituto che, in maniera indiscriminata, pone nel nulla tutti i processi, e, paradossalmente, anche quelli che siano stati trattati sollecitamente in primo grado e i cui reati difficilmente si prescriverebbero.



Si è celebrato lo sciopero dei magistrati contro la riforma Cartabia. Lei si è astenuto?

Sì. Vede professore, sono fermamente convinto che le riforme del processo penale e dell’ordinamento giudiziario finiranno con il peggiorare la situazione. Si deve prendere atto che nel nostro ordinamento vi sono carichi di lavoro sproporzionati rispetto alle risorse, nonostante i magistrati italiani siano tra i più produttivi d’Europa (come più volte certificato da studi che comparano i diversi sistemi giudiziari europei); le risorse di cui il nostro sistema dispone, oltre ad essere, per l’appunto, insufficienti, sono anche male distribuite. Le modifiche normative che sarebbe necessario introdurre dovrebbero intervenire su questi problemi, mettendo nelle condizioni i magistrati di decidere con ponderazione, attenzione e in breve tempo i casi sottoposti al loro sindacato. Nulla di tutto questo è previsto nelle riforme in cantiere e in quelle approvate sul processo penale. Con esse, infatti, si predilige un modello di magistrato votato alla ricerca della performance, intesa come attitudine a smaltire più carte possibile, a discapito della qualità del lavoro. In sintesi, si bada solo ai numeri, disinteressandosi della bontà delle decisioni.



Come si spiega allora un’adesione così bassa? 

Hanno inciso diversi fattori. Sicuramente, da una parte, la consapevolezza dello stato di debolezza in cui versa la magistratura, anche agli occhi dell’opinione pubblica. Alcuni tra i non aderenti allo sciopero temevano che l’iniziativa sarebbe stata interpretata dalla gente come azione meramente funzionale a mantenere privilegi. Dall’altra, la disaffezione verso gli attuali vertici dell’Associazione nazionale magistrati, che avrebbero promosso un’iniziativa blanda, dopo avere concordato essi stessi alcuni punti della riforma, nel corso di riunioni con il ministero, secondo quanto affermato dal sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto in una intervista non smentita. Per quanto mi riguarda, pur essendo molto critico nei confronti dell’Anm, ho comunque aderito, ritenendo in ogni caso necessario prendere una posizione ferma contro questa riforma.

Come affermato dallo stesso procuratore Gratteri, la sensazione diffusa nell’opinione pubblica è che la magistratura non sia stata in grado in questi mesi di voltare veramente pagina rispetto agli scandali scoppiati con la vicenda Palamara. Che ne pensa?

Su questo non vi è alcun dubbio e fa bene lei a porre con forza l’attenzione su questo aspetto. Sarebbe ora che la magistratura prenda nettamente coscienza del fatto che il sistema correntizio è fonte di distorsioni e che l’unico strumento per porvi rimedio è quello del sorteggio dei candidati per il Csm; scelta che rappresenterebbe anche un segnale forte per l’opinione pubblica. 

Uno dei punti più controversi si è levato contro la separazione delle carriere. Però essa esiste in tutti i Paesi in cui si è adottato il modello accusatorio.

Come lei insegna ai suoi studenti, il nostro legislatore costituente ha previsto che la magistratura sia un unico ordine, per assicurarne con efficacia autonomia e indipendenza. Da pubblico ministero ritengo che la separazione delle carriere aprirebbe le porte alla nostra sottoposizione all’esecutivo. L’unicità delle carriere, oltre a scongiurare questa prospettiva, assicura la terzietà del Pm nel corso delle indagini preliminari, nel quale il ruolo del giudice è molto limitato. Il Pm, in quella fase, deve avere un approccio distaccato e critico rispetto agli elementi raccolti, ragionando alla stessa stregua di un giudice. Il pericolo secondo cui l’appartenenza di giudici e Pm allo stesso ordine possa condizionare le decisioni è totalmente infondato.

Come fa a dirlo?

Non si spiegherebbe altrimenti il numero di assoluzioni, segno che i giudici tutto sono fuorché appiattiti sul Pm. E d’altronde, per coerenza, perché i sostenitori della separazione delle carriere non propongono anche quella dei giudici di primo grado rispetto a quelli di grado successivo? Non ritengono anomalo il fatto che il lavoro di un giudice venga sindacato da un suo collega seppur incardinato in un ufficio superiore? Tutto questo viene smentito dai fatti, in particolare dal numero di “ribaltamenti” delle decisioni nei gradi successivi, segno questo che la comune appartenenza non incide sull’esito dei giudizi. La verità è che i giudici rispondono solo alla legge e alla loro coscienza.

Credo che questo rispondere solo alla legge e alla coscienza sia il fulcro del problema. La percezione diffusa è infatti che i magistrati non rispondano dei loro errori. Da questo deriva a mio avviso il provvedimento che introduce le tanto contestate pagelle. Perché, le chiedo, sarebbe così sbagliato introdurre un meccanismo di valutazione sulla capacità ad esempio dei pm di imbastire indagini che non arrivino al sistematico naufragio in sede di giudizio come troppo spesso è accaduto in passato, nonostante enormi costi sostenuti e inutili sofferenze inferte?

Bisogna partire da un presupposto: la giustizia non è una scienza esatta. Se così fosse, i magistrati sarebbero inutili, e si potrebbe sostituire il tutto con una intelligenza artificiale. Il processo, invece, è per sua natura fluido e imprevedibile: il teste principale può ritrattare o si può contraddire, perché ben incalzato dalla difesa; la prova d’accusa può essere confutata dalla prova contraria; il giudice aderisce a un nuovo orientamento giurisprudenziale, reputando il fatto penalmente irrilevante. Premesso ciò: come si fa ad affermare che una indagine è anomala? E se il Pm di udienza è diverso da quello che ha condotto le indagini, chi ha sbagliato tra i due? Se fosse stato lo stesso, la decisione finale sarebbe stata analoga? La verità è che dare le pagelle in questo modo sarebbe pericoloso, aprirebbe a forme di contenzioso smisurato e condizionerebbe enormemente il lavoro dei magistrati, che pur di non rovinarsi la carriera si guarderebbero bene dall’assumersi le loro responsabilità, quale quella, ad esempio, di far arrestare uno stalker, temendo che la vittima possa ritrattare. D’altronde, a parti invertite, lo stesso avvocato non può garantire il risultato al proprio cliente.

Le assicuro, dottore, che un avvocato risponde del proprio operato sotto vari profili, ma il tema lo approfondiremo in altri sedi. Per finire: non le sembra strano che questa riforma pare non soddisfare nessuno?

Non soddisfa i magistrati per le ragioni sopra dette. Non soddisfa chi vorrebbe riforme ancor più penalizzanti per la magistratura. Ma quel che certo è che l’adozione di un modello di lavoro meramente aziendalistico, l’istituto dell’improcedibilità e la trasformazione del magistrato in un soggetto timoroso di sbagliare, in prospettiva, non soddisferanno principalmente i cittadini, cioè i reali fruitori del servizio giustizia.

(Antonio Pagliano) 

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