Gian Luigi Gatta, professore ordinario di Diritto penale a Milano, ha parlato della giustizia riparativa sulle pagine del Dubbio. Recentemente, infatti, l’assassino di Carol Maltesi ha ottenuto l’accesso al percorso, chiedendo di riconciliarsi con la famiglia della 25enne uccisa, smembrata ed occultata lo scorso gennaio. Secondo il giurista si tratta di un esperimento interessante, che apre ad una sorta di positiva rivoluzione del sistema penale italiano.



Ritiene, infatti, che la giustizia riparativa non sia “un modello che calpesta diritti e garanzie”, ma che le “considera e fortifica”. Scendendo nel dettaglio, spiega che “è un modello di giustizia che non è alternativa alla tradizionale giustizia penale e al processo: è complementare ed è incentrata sull’incontro tra autore e vittima”. Lo scopo sarebbe quello di andare oltre alla “logica vendicativa e dello scontro che permea da sempre la giustizia penale”. L’efficacia del sistema della giustizia riparativa, spiega Gatta, va compreso, innanzitutto, ascoltando “le esperienze di quanti, autori e vittime, hanno partecipato a incontri” e processi riparativi.



Gian Luigi Gatta: “La giustizia riparativa colma le lacune del processo penale”

“La giustizia riparativa”, spiega ancora il giurista, “è una strada ulteriore e complementare che i difensori di vittime e imputati o condannati possono intraprendere”, specialmente quando “il processo e la pena non sono sufficienti a soddisfare i bisogni di vittime e autori“. In alcuni casi, infatti, questi ultimi, necessitano “di comprensione, di dialogo, di incontro, di ricomposizione della frattura e, se possibile, di riconciliazione”.

Similmente, a chi ritiene che il percorso riparativo possa aprire a scenari ingiusti per le vittime, il giurista spiega che il percorso in sé non prevede “alcuno sconto di pena ma solo l’invio a un centro di giustizia riparativa per valutare la fattibilità [del] programma. In caso di esito positivo, il giudice potrà valutare se riconoscere una riduzione della pena o concedere qualche beneficio penitenziario”. A suo avviso, il percorso risponde “al bisogno di rieducazione”, mentre per chi ritiene che possa essere una non necessaria vittimizzazione dell’imputato, Gatti sostiene che “se la vittima è messa ai margini del processo penale, la giustizia riparativa, che sta fuori dal processo penale e vi si innesta solo, può colmare una lacuna“.