Sviluppare e promuovere la giustizia riparativa per creare città e comunità più gentili, aperte al dialogo e – soprattutto – al perdono: questo è l’obiettivo ultimo del Progetto sperimentale nazionale lanciato nei giorni scorsi da Caritas italiana nel corso di un convegno che si è tenuto a Roma nel corso del quale sono stati esposti anche i risultati del primo test sul campo del progetto. Presenti all’incontro sulla giustizia riparativa – oltre alla Caritas nella persona del direttore don Marco Pagniello – anche i collaboratori di Piscolus (la scuola romana di psicologia giuridica) e i rappresentanti delle otto realtà diocesane che sono state coinvolte negli ultimi 18 mesi in un lungo percorso di divulgazione ed informazione che ha raggiunto migliaia di persone tra studenti, comunità ecclesiastiche, carcerati e civili. 



Prima di arrivare al succo del progetto Caritas e – soprattutto – al convegno e ai risultati ottenuti sui territori, vale la pena fare una piccola digressione per ricordare che con il termine ‘giustizia riparativa’ si intendono quei percorsi legali che mirano a superare il paradigma del processo in tribunale per arrivare ad un vero e proprio perdono del responsabile di un crimine, da parte della sue vittima o dei suoi familiari. Percorsi che possono essere sostitutivi di quello legale tradizionale, ma che talvolta costituiscono uno sconto sulla pena decisa dal giudice a fronte di un perdono reale e di segni di redenzione da parte del criminale.



In cosa consiste il Progetto sperimentale nazionale di giustizia riparativa di Caritas

Sono stati coinvolte nel progetto sulla giustizia riparativa di Caritas – come vi anticipavamo – otto differenti diocesi, da Agrigento, fino ad Ancona, passando anche per Cerignola, Cuneo, Milano, Napoli, Prato e Verona: l’obiettivo era quello di far conoscere i percorsi riparativi, partendo dall’esperienza e dalle testimonianze dirette di chi li ha sperimentati e – soprattutto – dal dialogo, diffondendo una cultura della giustizia riparativa che – sottolinea don Pagniello – “è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati. Non a caso, il don ha ricordato che “se la giustizia riparativa è un paradigma [allora] lo dobbiamo diffondere in tutte le azioni che la Caritas porta avanti“; con l’eco di Patrizia Patrizi (docente ad Uni Sassari) che ricollegandosi al citato paradigma, sottolinea che “dobbiamo ripeterlo perché il cambiamento è difficile“, ma può – a suo dire – stimolarne uno che si rispecchi non solo sul “sistema penale” ma anche nelle scuole, nei quartieri, nella città e sui luoghi di lavoro.



Il sociologo Andrea Molteni, invece, ci ha tenuto a ricordare che i percorsi di giustizia riparativa non devono mai essere delegati “al sapere esperto” perché “la riparazione non è un effetto degli esperti, ma di un processo tra persone e comunità“; e mentre la referente del Ministero dell’Istruzione Maria Costanza Cipullo ha posto l’accento sulla necessità di “sensibilizzare sempre più e formare i docenti“, l’ex magistrato Gherardo Colombo ha passato il tizzone ardente all’impegno “che le persone ci mettono prima ancora della pratica“, con Cinzia Neglia (referente Caritas per la giustizia, non solo riparativa) che ha chiuso l’incontro immaginano un futuro di “città riparative“. 

I risultati del primo progetto di giustizia riparativa promosso da Caritas

Centrali nella conferenza di Caritas sulla giustizia ripartiva anche le esperienze di quelle otto comunità, tra chi (come Cerignola-Ascoli Satriano) è partito “dalle scuole” ed è riuscito ad applicare il modello ripartivo in classe e chi (Ancona-Osimo e Fossano) ha promosso dei veri e propri incontri con la cittadinanza – che “ha risposto bene” – sul tema. A Verona, invece, i referenti Caritas per il progetto hanno accompagnato gli studenti “nelle carceri” per ascoltare l’esperienza di chi avrebbe voluto attivare i percorsi di giustizia riparativa.

In quel di Milano, invece, il progetto ha coinvolto diversi volontari che, nelle scuole, hanno presentato alcune storie per far ragionare “gli studenti attorno al conflitto” e mentre a Napoli e Prato la risposta della cittadinanza è stata incredibilmente forte, ad Agrigento si è dovuto superare un iniziale scoglio di indifferenza che ha aperto le porte – nel pieno stile della giustizia riparativa – “al cambiamento: da una comunità che non riusciva a mettersi in ascolto a una comunità aperta al dialogo”.