Sfido qualsiasi avvocato, più o meno noto, a negare di non avere i propri riti mattutini quando deve discutere cause importanti e che vanno dallo scendere con il piede destro dal letto, a percorrere la strada diversa che porta al tribunale e che le ultime volte in cui la si era imboccata aveva preceduto una vittoria insperata, al bere un caffè nel bar interno al tribunale con il collega che si ritiene porti bene.



Con l’avvento della pandemia – dopo la prima fase di chiusura dei tribunali nel mese di marzo – le cause civili sono riprese con la modalità della trattazione scritta. In parole povere viene richiesto agli avvocati di predisporre il verbale di udienza, con le loro richieste, e di depositarlo, all’interno del processo telematico, solitamente 5 giorni prima dell’udienza, onde dar modo al giudice, il giorno dell’udienza, riunitosi da solo nella sua aula di udienza virtuale, di leggere le richieste e provvedere sulle istanze formulate. Ovviamente sono tenute fuori da questa prassi quelle attività processuali che richiedono effettivamente la presenza degli avvocati e delle parti o dei testimoni per il raccoglimento della prova.



Con la sperimentazione della modalità scritta sono iniziate le scene di panico classiche di ogni cambiamento epocale. Ritengo che la verità sia sempre in una posizione mediana tra i molti che contrastano l’assenza fisica in udienza dell’avvocato ed i pochissimi che si vedono liberati dall’incombenza di partecipare all’udienza, evitando così spostamenti dispendiosi ed anche, perché no, evitando gli odiosi scontri verbali con gli altri colleghi.

Alla luce di quanto stiamo sperimentando durante la pandemia credo che sia opportuno ripensare alla funzione del processo civile ed al suo svolgimento, del tutto differenti da quello penale. Difatti mentre in quest’ultimo l’arringa del difensore può avere un significato, anche storico, laddove il cliente ha quasi una necessità fisica di verificare che il difensore si batta con passione e che abbia la possibilità di analizzare anche gli aspetti psicologici che hanno rilievo nella commissione di un reato, il processo civile vive di dinamiche diverse.



In quest’ultimo, di solito, ci sono due parti su posizioni contrapposte che chiedono l’intervento del giudice per dirimere vertenze che, direttamente o indirettamente, presentano una forte connotazione economica: Tizio che chiede di essere pagato e Caio che nega detto pagamento; Sempronio che ritiene di dover avere un ristoro economico dal datore di lavoro che glielo nega asserendo colpe nell’esecuzione della prestazione lavorativa; Mevia che vuole far accertare la responsabilità di Romolo nella fine del matrimonio per avere diritto ad un mantenimento.

In questo scenario, con un processo prevalentemente scritto e con una forte connotazione documentale, ad eccezione della sola fase istruttoria per il raccoglimento delle prove richieste dalle parti, siamo in presenza di diversi passaggi che, materialmente, non richiedono la presenza in udienza. Tanto è vero che in un processo mediamente di 6 udienze, dove solo due al massimo sono per il raccoglimento della prova, i 2/3 delle udienze sono trattate da praticanti, collaboratori di studio o delegati in quanto le istanze da formulare e le repliche alle avverse domande vengono, preventivamente, formulate per iscritto.

Quando, poi, è presente l’effettivo patrocinante, questi, dopo aver atteso il proprio turno di udienza a volte anche per due-tre ore, e avere scritto di proprio pugno il verbale, si siede, con la controparte, dinanzi al giudice e rappresenta le proprie tesi, solitamente in maniera analoga a quanto scritto, così come si premura di fare anche l’avvocato di controparte. Al termine di una discussione accalorata, il giudice – che magari ha già trattato altre 10 cause prima e che dovrebbe essere preparatissimo su quel giudizio al pari degli avvocati, ma ovviamente non lo può essere stante la mole di lavoro da evadere – perso nell’accesa litigiosità, pone la domanda-chiave e per lui liberatoria: “avvocati…avete scritto quanto mi avete appena detto?”.

In quel preciso momento qualsiasi avvocato si rende conto che tutti i riti propiziatori che avevano preceduto l’udienza della mattina, il traffico affrontato per arrivare in tribunale, le due ore di attesa per celebrare l’udienza, tutto il sacro fuoco profuso per la difesa degli interessi del proprio cliente che non può che avere ragione, tutta l’ira scagliata sul collega avversario, reo di difendere una posizione contrapposta, potevano risolversi nel mettere per iscritto quanto si aveva da dire!

Vi ho voluto raccontare nel dettaglio i passaggi processuali per rappresentarvi la mia convinzione che dalle dinamiche tragiche, quali quelle che viviamo in questo periodo, si può trovare la forza per uscirne migliorati.

Infatti nel solo processo civile, piccolo tassello della nostra vita quotidiana ma che prima o poi entra nella storia di ognuno di noi, la trattazione scritta diffusa, riguardante buona parte della causa potrà essere la soluzione per una giustizia veloce ed efficiente.

Occorrerà certamente non solo la disponibilità degli avvocati, ma anche il contributo dei giudici, che potranno anche loro evitare di andare in tribunale o, comunque, non dovranno perdere intere mattinate a fissare udienze e ad ascoltare gli avvocati, spesso ridondanti, ma potranno dare impulso a quelle famose 6 udienze che mediamente occorrono per giungere ad una sentenza e che, credetemi, potrebbero essere svolte, senza problemi, addirittura in soli 3 mesi: si potrebbe raggiungere quell’agognato obiettivo di una giustizia civile veloce.

Un tempo la giustizia era vista quasi come un mondo a sé, gli avvocati, anche quelli civilisti, avevano necessità di far durare le cause anche dieci anni perché così facendo il cliente era loro soggiogato ed ogni udienza poteva servire per il pagamento di un piccolo onorario che diventava una sorta di rendita negli anni. Oggi non è più così; il cliente, grazie anche a internet, ha una competenza superiore al passato, tutto procede velocemente e anche se vi sembrerà strano i primi che vorrebbero giungere ad una sentenza in soli tre mesi, per sapere se hanno vinto o perso, sono proprio gli avvocati.

Una giustizia veloce offre garanzia ai cittadini di poter ricevere in tempi ragionevoli una verità processuale, punendo i furbi; solo così gli avvocati potrebbero tornare ad avere quel ruolo sacrosanto di affermazione e tutela dei diritti dei propri clienti. Non posso che augurarmi che anche il legislatore si possa convincere che il processo prevalentemente scritto potrebbe essere una soluzione ragionevole alla velocizzazione della giustizia civile. Ovviamente assicurando che alcune attività siano svolte in presenza ed anche garantendo all’avvocato che richiede la trattazione orale della causa di potersi vedere fissata la relativa udienza da celebrarsi con i giusti tempi e la calma dovuta alla discussione.

In questo caso però dovrà essere chiaro che se l’avvocato di controparte viene chiamato in udienza per sentirsi ripetere dal collega quanto già scritto, allora occorrerà comminare una punizione esemplare all’avvocato inadempiente. La punizione non potrà essere solo quella banale della condanna alle spese del proprio cliente, bensì quello di essere tacciato per sempre come “azzeccagarbugli”.