Aiutare i migranti ora è diventato un diritto riconosciuto dalla Corte Costituzionale in Francia e a vincere la personale “battaglia” è un contadino di nome Cédric Herrou: la sua storia è raccontata dall’Espresso nell’ultimo numero anche se parte in realtà almeno 5 anni fa come origine del tutto. Ha aiutato decine di rifugiati a superare il confine tra Italia e Francia sul terreno ripido di Breil-sur-Roya sulle Alpi Marittime: la sua particolare solidarietà lo ha portato a scontrarsi con i tribunali di mezza Francia negli ultimi 5 anni, finche il 31 marzo scorso la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura Generale di Lione dopo il suo rilascio deciso il 13 maggio 2020 dalla Corte d’Appello.



Accusato di favoreggiamento e aiuto all’immigrazione clandestina, Herrou si è scontrato con la Corte Costituzionale finché nel 2018 è stato riconosciuto il principio di solidarietà per motivi umanitari: «i saggi del Consiglio Costituzionale hanno ritenuto che la fraternità non è un principio astratto, ma un valore che deve avere una traduzione concreta nel nostro ordinamento giuridico», spiega l’avvocato del contadino oggi 42enne, Sabrina Goldman. Nella sentenza della Corte si legge che «deriva dal principio di fraternità la libertà di aiutare gli altri, per scopi umanitari, senza considerare la regolarità del soggiorno sul territorio nazionale», rendendo di fatto libero Cédric Herrou.



IL CONTADINO CONTRO LO STATO

Su quella solidarietà, il contadino francese ha poi costruito un’attività a pieno regime fondando la comunità agricola “Emmaus Roya” per la produzione di cibi biologici con i migranti. Ad oggi sono circa 2.500 i rifugiati ospitati e aiutati a superare il confine sulle Alpi dal contadino “ribelle”: «io milito per la dignità di tutti gli esseri umani», spiega ancora Herrou all’Espresso, «La mia famiglia era molto modesta ma accoglieva bambini abbandonati, spesso figli di immigrati, dati in affidamento dai servizi sociali. Ho imparato a condividere tutto». Ha trasportato per mesi (e continua a farlo) immigrati da Ventimiglia fino a Breil-sur-Roya andando contro tutto e tutti, l’Eliseo in primis: «La chiusura delle frontiere è solo ideologica, non è pragmatica, le persone che sono a Ventimiglia passano, sono però costrette a mettersi in una condizione di clandestinità e pericolo, una specie di gioco dell’oca cinico in cui prima di arrivare alla casella finale bisogna rischiare la morte», attacca.  «Perché la vita di un bambino eritreo vale meno di quella di uno europeo?  Se in questa valle un giorno sparisse un piccolo inglese, la sua ricerca sarebbe un affare internazionale. Qui sono spariti tantissimi bambini eritrei nell’indifferenza», conclude Herrou, «bisogna cambiare sguardo sui chi emigra. Per farlo, dovrebbe succedere a tutti di vedere camminare sul ciglio della propria strada una madre con un neonato tra le braccia o bambini da soli, come un eritreo scalzo di dodici anni. Dovrebbe succedere a tutti i Salvini, di incontrare questo piccolo eritreo e rimetterlo con le proprie mani in una barca di fortuna per farlo tornare nel suo paese. È troppo facile farlo fare agli altri».

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