81 candeline spente da poche ore ed una vitalità invidiabile: quella dell’indomito intellettuale, pigro! Francesco Guccini, decano – per autorevolezza e genuinità – dei cantautori italiani, è l’icona dei cercatori, di coloro che non si accontentano di guardare e talvolta di vedere ma, tentano (davvero un mestieraccio!), di capire.



Francesco è il viandante amico; il compagno di strada talvolta mai conosciuto-accanto (e grazie) al quale abbiamo gioito, sognato, sperato ed a cui, in questo immaginario dialogo, ci rivolgiamo per avere ancora nuovi lumi di saggezza sul presente e sul passato: quello delle grandi illusioni divenute laceranti tragedie. Quello del «diritto alla felicità».



Francesco Guccini è Acque: la disperata e soave ricerca di quel filo rosso «centro di questo ingranaggio continuo, confuso e vivente». Guccini è Canzone della bambina portoghese; l’abbandono al caldo di un sole che diviene infinito rapporto uomo/creato «e in questo sentiva qualcosa di grande che non riusciva a capire, che non poteva intuire, che avrebbe spiegato, se avesse capito, lei…».

Ma l’inquilino di via Paolo Fabbri 43 è anche l’atroce domanda del «quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senz’ammazzare» di Auschwitz; il riscatto di un mondo disperso «lungo strade che non portano mai a niente» per mano di una «generazione preparata ad un mondo nuovo ad una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, ad una rivolta senza armi».



Infine, le radici. L’intenso struggente ricordo/autoritratto di un Van Loon padre saggio e semplice, dagli scarni bagagli sempre pronti, alla ricerca affannosa di quella pace che ha in sé e diretto verso una storia (o strada) rigogliosa «dei tanti libri che la vita gli ha proibito». Quella storia che ha una «sua ragione…. anche se quale non sapremo mai»!

Francesco Guccini è stato tutto questo: ma adesso? 

«Cosa vedi quando guardi attorno»? Che ne è del ragazzo/macchinista lanciato «a bomba contro l’ingiustizia» e del cantore dei dubbi del secolo breve coronato di muri, disperazione ma anche tanta volontà di rinnovamento?

E l’«incontro» con il mondo (quello del pensiero/sentimento liquido) di «culodritto» quale sapore ha avuto?

Dell’ateo/credente – generoso – aperto all’infinito di un Dio che, nonostante tutto, dopo tre giorni, risorge, cosa rimane? E di quella generazione «preparata» ad un mondo (forse mai divenuto) nuovo?

Come sempre restiamo «ancora qui a domandarsi e a far finta di niente, come se il tempo passato ed il tempo presente non avessero la stessa amarezza di sale», nella speranza che tu possa, ancora, «parlarci di noi».

Auguri, professore!