Gli allevatori italiani possono vantare i migliori risultati in termini di taglio alle emissioni, come rivela uno studio condotto dai fisici dell’Università di Oxford. Il bilancio annuale degli ultimi dieci anni, della differenza tra anidride carbonica emessa ogni dodici mesi e quella sequestrata dalle colture condotte nelle aziende agricole, è negativo. Parliamo di -4,4 milioni di tonnellate equivalenti. Il dato è restato reso noto nel corso della presentazione di “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità”, scritto da Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina e pubblicato da Franco Angeli.



“Oggi l’agricoltura pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti” e di queste emissioni il 3,5% sono imputabili alle filiere della carne, esclusi latte e uova” spiega il professor Pulina, docente di etica e sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili, a Libero. Secondo i dati rilevati dall’Ispra per il 2023, i settori con maggiori emissioni sono quelli dell’industria energetica e dei trasporti. “Quello che è più importante è che quando si parla di impatto ambientale della zootecnia dobbiamo cominciare a ragionare in un’ottica di equilibrio: in questo comparto, infatti, emissioni e sequestro delle stesse missioni avvengono nello stesso posto e nello stesso momento. E nuovi studi ci dicono che in Italia le attività zootecniche negli ultimi 10 anni non solo non hanno impattato sull’ambiente, ma hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera con emissione ricalcolate cumulativamente a -49 milioni di tonnellate di Co2 equivalente” spiega ancora Pulina.



Gli allevamenti italiani “non inquinano”

Il dato presentato nel libro “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità”, uscito dalle revisioni metriche elaborate a Oxford e applicate ai nostri allevamenti dagli studiosi dell’Università di Sassari, sovverte la narrazione degli ultimi anni. Come spiega il professor Pulina “Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, come il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga come l’anidride carbonica. Le nuove metriche tengono conto di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni”.



L’Italia è agli ultimi posti in Europa per consumi di carne con 33 chili pro capite. Elisabetta Bernardi, biologa nutrizionista, coautrice del libro, ha spiegato che per la carne rossa c’è un allarmismo esagerato. “In una recentissima revisione della letteratura pubblicata su Nature Medicine sottolinea quanto siano deboli e insufficienti le evidenze per formulare raccomandazioni conclusive sul consumo di carne rossa” ha spiegato. Secondo gli autori dello studio non costituisce un rischio per la salute: un consumo in quantità limitata non aumenterebbe il rischio di malattie cardiache.