Nel clima d’incertezza che caratterizza la geopolitica in questo periodo, fare previsioni economiche è particolarmente difficile. Poco più di un mese fa, il più recente rapporto previsionale della Confindustria sottolineava che lo scenario globale è dominato dalle estreme tensioni e incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina. L’impatto sull’attività economica agisce come uno shock di offerta profondo, al momento difficilmente quantificabile, perché il quadro è in continua evoluzione.
La crisi militare si innesta su un quadro già reso difficile dal perdurare della pandemia, delle pressioni al rialzo sui prezzi di varie commodities e dei colli di bottiglia in alcune catene di fornitura globali.
Gli effetti della crisi a livello globale sono fortemente diseguali tra aree e settori, in base alla vicinanza al conflitto, alle dipendenze da petrolio, gas e altre commodities e, in generale, alle connessioni produttive e finanziarie con i Paesi direttamente coinvolti nella guerra (Russia, Ucraina e Bielorussia).
Tra le principali macroaree, l’Unione europea è quella più colpita, come segnalano il deprezzamento dell’euro e le perdite registrate nelle principali piazze finanziarie nei primi giorni del conflitto. Tra i settori, sono più coinvolti quelli energivori, come metallurgia, chimica, ceramica e vetro, e altri comparti fortemente internazionalizzati come i mezzi di trasporto (autoveicoli, aeromobili, imbarcazioni).
In questo scenario deteriorato, secondo la Confindustria, l’andamento del Pil italiano nel 2022 risulta molto meno favorevole di quanto precedentemente stimato: quest’anno si registrerebbe un incremento dell’1,9%, con un’ampia revisione al ribasso (-2,2 punti) rispetto allo scenario delineato lo scorso ottobre, prima dei nuovi shock, quando tutti i previsori erano concordi su un 4,0%.
In questi giorni è uscito un rapporto previsionale della Confcommercio, le cui conclusioni, in termini di crescita economica per l’anno in corso sono leggermente più favorevoli di quelle della Confindustria: un aumento del Pil del 2,1% (la dinamica prevista nel Documento di economia e finanza è compressa da un’inflazione stimata al 6,5% nella media dell’anno). Nelle valutazioni Confcommercio sarebbero moderatamente più favorevoli le prospettive per il 2023 (un aumento del Pil del 2,4%, un’inflazione al 2,9%, un aumento dei consumi dei residenti al 2,7% dopo un incremento solamente del 2% nel 2022).
Data l’incertezza del quadro politico (non solo internazionale ma anche interno, a ragione delle fibrillazioni delle forze politiche, che pur sostengono il Governo, a ragione dell’approssimarsi della fine della legislatura la primavera prossima), non sarebbe appropriato soffermarsi sui dettagli dei singoli numeri delle stime. Quello che interessa sottolineare è che il documento Confcommercio pone, sin dal titolo (Economia e Consumi dell’Italia 2022-2023) l’accento sui consumi, indicatore spesso sottovalutato in altri rapporti previsionali, ma che in questa fase può essere particolarmente utile a fine dell’articolazione della politica economia.
Ricordiamo che durante le restrizioni dovute alla pandemia, secondo la Banca d’Italia, nel 2020, le famiglie hanno messo da parte 126 miliardi: una cifra molto più alta dei 47,7 miliardi risparmiati nel 2019. Gran parte di questo flusso di denaro, pari a poco più di 85 miliardi, è finita sui conti correnti in banca. La tendenza viene confermata anche dall’Abi (Associazione bancaria italiana), che nel maggio 2021 fotografava sui depositi della clientela privata la presenza di 1.774,6 miliardi, ossia 135 miliardi in più rispetto a un anno prima. A conclusioni analoghe giunge l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo: la liquidità depositata sui conti correnti è aumentata di 230 miliardi e di questi 110 miliardi vengono dalle famiglie – «A ottobre, l’incremento nei 22 mesi è salito a 255,9 miliardi di cui 133,7 miliardi dalle famiglie». È un incremento complessivo del 24% in meno di due anni, dicono le tabelle aggiornate di Intesa Sanpaolo. Una leva da muovere, quella del risparmio congelato in via prudenziale, per far partire la ripresa. «Bisogna usare al meglio l’enorme massa di risparmio posteggiato presso le banche». I consumi sono il modo più semplice per veicolare i risparmi verso imprese e attività produttive.
Ma perché ciò avvenga è necessario che i correntisti guardino con fiducia al futuro. Il rapporto Confcommercio è corredato da uno studio effettuato in collaborazione con il Censis – una partnership che dura da dodici anni – sulla fiducia delle famiglie, secondo una metodologia differente da quella utilizzata nelle inchieste Istat in quanto pone l’accento sulla propensione alla spesa. Lo studio conclude che sino a novembre scorso c’erano tutte le condizioni perché la ripresa della fiducia delle famiglie avvenisse in modo sempre più marcato da quando, nell’estate 2021, ci sono stati i primi segni che si stesse domando la pandemia: da allora c’è stato un vero e proprio crollo a ragione sia del “principio di precauzione” di fronte all’inflazione (le famiglie ritardano acquisti grandi e piccoli in attesa che l’ascesa dei prezzi diminuisca), sia a ragione del timore dei danni economici causati dalla guerra (ad esempio, si pospongono spese nel timore di bollette più care). «Le speranze di un consolidamento dei consumi sono rimandate alla fine del 2023».
Difficile indicare come rilanciare i consumi e incanalare il risparmio che giace sui conti correnti verso impieghi produttivi, soprattutto dopo 29 anni, ossia nel 2021 (fatto cento il 1992), come base, la crescita del Pil reale pro-capite dell’Italia si ferma all’11,8% rispetto al 36,3% della Germania e circa al 50% della Gran Bretagna. Le famiglie non guardano a queste cifre nel fare i loro programmi di spesa, ma le “sentono”.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza di per se stesso può fare poco (interessante notare l’enfasi del documento Confcommercio sulla necessità e urgenza delle riforme). Potrebbero fare di più le forze politiche: contrasti, polemiche elettoralistiche e risse non aumentano la fiducia e inducono a tenere “il gruzzoletto” sul conto corrente.
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