A maggio l’inflazione nell’Eurozona è salita all’8,1% su base annua dal 7,4% di aprile. Un incremento che crea, come sappiamo, non pochi grattacapi alla Bce, ormai in procinto di alzare i tassi di interesse, nonché ai singoli Stati, tant’è che anche il Governatore della Banca d’Italia Visco, nelle sue Considerazioni finali di martedì, ha evidenziato la necessità di evitare di innescare la spirale prezzi-salari. Come evidenzia Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, il dato sull’indice dei prezzi dell’area euro appare “in controtendenza rispetto a quanto si sta verificando negli Stati Uniti, dove ad aprile l’inflazione è scesa al 6,3% dal 6,6% di marzo. Ciò anche in virtù del fatto che l’Eurozona sta risentendo in misura maggiore dell’aumento dei prezzi dell’energia, che da gennaio stanno aumentando a un ritmo ben superiore a quello negli Stati Uniti e potrebbero ulteriormente salire”.
Perché?
Come sappiamo, il Consiglio europeo di inizio settimana ha dato il via libera a misure sanzionatorie riguardanti il petrolio russo che comprendono anche un embargo alla vendita di servizi assicurativi per le petroliere che lo trasportano non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Questa misura porterà quasi certamente a un ulteriore rincaro del prezzo del greggio. Dal comparto dell’energia dobbiamo quindi aspettarci ulteriori rincari che influiranno sull’inflazione.
In che modo un embargo sulle assicurazioni può determinare un aumento del prezzo del petrolio?
Le società assicurative europee, comprendendo anche quelle inglesi, di fatto coprono la maggioranza di questo particolare mercato. Ciò vuol dire che una petroliera che volesse partire da un porto russo con una destinazione ovviamente diversa dall’Europa potrebbe non essere in condizione di farlo perché impossibilitata a ottenere una copertura assicurativa. Ciò comporterebbe una diminuzione dell’offerta aggregata di petrolio con un effetto di rialzo del prezzo del greggio.
Di fatto, quindi, le sanzioni rischiano di aggravare il problema dell’inflazione.
La dinamica inflazionistica cui stiamo assistendo è unica nella storia recente: risente in larga misura della crisi geopolitica in atto, ma anche delle risposte importanti che l’Occidente sta approntando contro la Russia. Rispetto allo shock petrolifero degli anni ’70, c’è quindi questo ruolo molto proattivo dell’Occidente nell’imporre le sanzioni e, indirettamente, nell’alimentare la spirale inflazionistica, spinta anche da una componente speculativa che si può chiaramente osservare sui mercati delle commodities energetiche. Poiché le sanzioni vengono imposte dall’Ue, bisognerebbe che ci fosse una strategia europea mirata a gestirne l’impatto sulle economie dei Paesi che le stanno applicando. Questo essenzialmente per una ragione.
Quale?
Mantenere la sostenibilità di queste misure nel tempo, dato che le sanzioni hanno un costo sulle economie che le applicano e questo costo è, peraltro, asimmetrico. Se si vuole mantenere il fronte compatto occorre anche elaborare una strategia che salvaguardi tale compattezza. In un certo senso occorre fare qualcosa di analogo a quanto annunciato l’altro giorno da Joe Biden in un editoriale sul Wall Street Journal. Il Presidente degli Stati Uniti ha illustrato la sua strategia non solo per combattere l’inflazione, ma anche per traghettare l’economia americana da un contesto di ripresa a quello di una crescita consolidata e sostenibile, attraverso una serie di iniziative straordinarie volte anche a diminuire i prezzi di alcuni beni essenziali, tra cui i medicinali. Iniziative straordinarie è ciò di cui avremmo bisogno in Europa, fermo restando l’impegno nell’imposizione delle sanzioni contro la Russia.
Finora è stata la Bce a prendere iniziative straordinarie per soccorrere l’Europa nei momenti di difficoltà. Può farlo ancora?
La Bce si trova in una situazione inedita: deve fronteggiare una crisi economica in divenire, con prospettive di progressivo peggioramento, e un’inflazione in crescita già da qualche tempo. È chiaro che si trova su un sentiero molto stretto ed è difficile in questo momento aspettarsi che possa estrarre dal cilindro la soluzione al problema. L’Europa deve comunque cercare di percorrere almeno due strade.
Quali?
Sul mercato dei futures, da cui si evincono le aspettative sui prezzi delle materie prime energetiche, si possono notare dinamiche che sono assai lontane rispetto alle medie storiche, anche recenti, di tali prezzi sul mercato a pronti. In sostanza c’è una fortissima componente speculativa che si va innestando su un contesto di crisi energetica, acuendone a sua volta gli effetti. Per mitigare questa componente speculativa si possono, per esempio, coordinare gli acquisti delle materie prime, in modo da cercare di comprimerne il prezzo, ma è necessario un accordo tra Paesi europei che producono tali commodities, compresa la Norvegia, e quelli che le importano.
Qual è invece la seconda strada da percorrere?
Occorre aggiornare il Next Generation Eu nelle sue componenti più importanti legate soprattutto agli aspetti della produzione e del costo dell’energia e pensare a iniziative straordinarie che possano aiutare la stabilità dell’economia europea. L’approccio sanzionatorio così com’è stato messo in piedi dall’Ue deve avvalersi a questo punto di una seconda gamba, che cerchi di compensare o mitigare il costo che le medesime sanzioni stanno avendo sui Paesi che le applicano.
I prezzi energetici, anche se non cresceranno più, resteranno alti. L’Italia ha finora varato misure per tagliare accise e bollette, ma non ha spazio per farlo ancora a lungo…
Queste manovre chiaramente sono dei tamponi, che tendono a fornire un sollievo immediato a coloro che stanno risentendo di più dei rincari energetici. Occorre pensare a iniziative più strategiche, perché un Paese come l’Italia non può più permettersi di erogare altri sussidi su base permanente.
La soluzione è finanziare queste misure con soldi europei?
Serve una strategia che, da un lato, mitighi le conseguenze di questa situazione sui ceti sociali più colpiti e vulnerabili e, dall’altro, introduca elementi di riforma strutturale nell’economia, incluso nella politica energetica. È importante anche che ci sia un raccordo con gli Stati Uniti, che, essendo esportatori, stanno beneficiando degli aumenti dei prezzi energetici. Occorre pensare a dei meccanismi compensativi che cementino la stabilità delle economie della coalizione occidentale e assicurino la sostenibilità del regime delle sanzioni che, con tanto sforzo e in modo del tutto inedito, Europa e Stati Uniti hanno messo in campo in questi pochissimi mesi.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.