Lo scoppio della guerra in Ucraina ha colto le imprese italiane in una delicata fase di transizione post-pandemia, amplificando a dismisura gli effetti, già gravi, della crisi energetica e le strozzature di offerta delle filiere globali. Il conflitto sta agendo da moltiplicatore su prezzi delle materie prime e dell’energia che già nel 2021 erano saliti in modo impressionante. La sospensione delle importazioni provenienti dal teatro di guerra spingerà in alto i prezzi di diverse commodities e allungherà i tempi di consegna.
Dall’analisi dei dati della rilevazione della Banca Mondiale, si rileva che a febbraio 2022 i prezzi dei metalli, in euro, salgono del 31,7% su base annua. Dall’area interessata dal conflitto importiamo il 16,2% degli acquisti dall’estero di ferro, ghisa e acciaio. Dai fornitori localizzati nel teatro di guerra proviene oltre un terzo degli acquisti dall’estero di ghiaia, sabbia e argille, accelerando i rialzi, già consistenti, dei prodotti per l’edilizia.
La necessità di sostituire il 7,9% dei cereali importati spingerà in alto i prezzi del pane e cereali che già a febbraio 2022 segnavano un aumento del 5,2%, a fronte del 3,7% di gennaio. Effetti anche a monte della filiera agroalimentare: mentre a febbraio i prezzi dei fertilizzanti sui mercati internazionali sono più che raddoppiati (+110,2%) su base annua, dobbiamo sostituire il 12,5% delle importazioni, quelle provenienti da Russia e Ucraina.
Con la guerra scoppia “l’iperinflazione” energetica. A febbraio il prezzo del gas era più che quadruplicato nell’ultimo anno. Con l’invasione dell’Ucraina è ulteriormente raddoppiato e nella media dei primi 9 giorni di marzo risulta del 903% superiore al prezzo di dodici mesi prima, dieci volte tanto! L’alto utilizzo del gas per generare elettricità porta quasi al raddoppio il prezzo della borsa elettrica: il PUN (prezzo unico di acquisto) di riferimento dell’11 marzo è del 94% superiore a quello del 23 febbraio.
Il prezzo del barile di petrolio Brent al 10 marzo è del 58% superiore rispetto a un anno prima. La media del 2022 supera di 28 dollari la quotazione di 66 dollari al barile prevista del Mef nella Nota di aggiornamento al Def di settembre. L’Istat stima che lo shock dei prezzi energetici rispetto ai livelli di inizio anno, a parità di altre condizioni, determinerebbe un effetto recessivo sul Pil italiano di 0,7 punti percentuali. Violente le ripercussioni sul costo dei trasporti: secondo la elaborazione di QE-Quotidiano energia su dati dell’Osservaprezzi del Mise, il prezzo del gasolio tra il 22 febbraio e il 10 marzo 2022 è salito del 20%. La situazione è difficile per il settore del trasporto merci su strada, che era in deflazione nel terzo trimestre del 2021 (prezzi in discesa dell’1,2%) e, secondo i dati pubblicati giovedì scorso dall’Istat, registra un aumento dei prezzi alla produzione che si ferma all’1,2%.
Nel corso dell’anno peggiorerà la bolletta energetica, che già nel 2021 si è ampliata di 16,7 miliardi di euro, pari ad 1 punto di Pil; a fronte dell’aumento di 23,2 miliardi di euro di importazioni di energia, ben 19,5 miliardi derivano dall’aumento dei prezzi, risorse distolte alla crescita del Pil e dirottate verso le economie dei paesi produttori.
A fianco degli alti prezzi, sono a rischio gli approvvigionamenti energetici: una riduzione del 10% delle forniture di gas per le imprese italiane determinerebbe effetti recessivi per 0,8 punti di valore aggiunto.
Uno tsunami post-pandemia si sta abbattendo sulla manifattura italiana, più esposta agli aumenti dei costi dell’energia e a quelli delle materie prime. Gli effetti recessivi potrebbero compromettere il risultato, raggiunto a dicembre, del pieno recupero dei livelli di valore aggiunto pre-pandemia del 2019 (+0,4%), a fronte del ritardo di Germania (-5,8%) e Francia (5,1%).
La competitività delle imprese italiane è messa a serio rischio da un’inflazione energetica doppia rispetta a quella di Germania e Francia. A febbraio l’Italia registra un aumento dei prezzi dei beni energetici del 46,4%, 7,3 punti in più di gennaio e oltre quattordici punti in più del +31,7% registrato dell’Eurozona, più del doppio del +22,4% della Germania e il +21,8% della Francia. Nel dettaglio dei capitoli di spesa, disponibile per i prezzi al consumo nazionali (NIC), si registra il +82,0% per l’energia elettrica, seguito dal +64,2% del gas, dal +24,6% del gasolio per riscaldamento, dal +24% per il gasolio per autotrazione e dal +21,9% per la benzina. L’aumento delle bollette per elettricità e gas e del costo dei carburanti – beni meno elastici a variazioni di prezzo – determineranno cali nella spesa delle famiglie per servizi e beni non energetici.
La platea delle imprese in prima linea – Le violente sollecitazioni sull’offerta e sui prezzi delle commodities indotte dal conflitto scoppiato due settimane fa nel cuore d’Europa mettono sotto pressione un ampio perimetro di imprese, delineato nel 18° report Confartigianato ‘Venti di guerra e caro-commodities: i rischi per le imprese e la crescita’ che sarà presentato il prossimo lunedì 14 marzo. Si collocano nella trincea di prima linea i settori manifatturieri con una maggiore intensità energetica: dalla petrolchimica alla metallurgia, dal vetro e la ceramica alla carta. In questi comparti energy intensive sono sempre più numerosi i casi in cui il divario tra costi e ricavi sta diventando insostenibile, costringendo al fermo dell’attività: a due anni dal lockdown sanitario siamo arrivati al lockdown energetico, un rischio per 29 mila imprese con 462 mila addetti.
Le carenze di materie prime provenienti da Russia e Ucraina, associate a costi crescenti delle forniture, coinvolgono le imprese nei settori di alimentare, metalli e costruzioni, mentre il caro-carburanti colpisce il trasporto merci e persone, uno dei settori più penalizzati dalla recessione da Covid-19. I due prodotti made in Italy maggiormente venduti in Russia e Ucraina sono i macchinari (26,6% del made in Italy nei due paesi nel 2021) e i prodotti della moda (16,2%). In questi due settori un’esposizione sul mercato russo superiore alla media coinvolge otto regioni: Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia (in entrambi i settori), Marche, Umbria e Toscana (moda), Friuli-Venezia Giulia e Piemonte (macchinari). Anche il blocco del turismo dalla Russia innesca effetti differenziati sul territorio. Secondo un’analisi dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia la spesa dei turisti russi, in rapporto all’economia del territorio, è superiore alla media in sette regioni: al primo posto troviamo l’Emilia-Romagna, seguita da Veneto, Valle d’Aosta, Sardegna e Trentino Alto Adige, Lazio e Toscana.
Sulla base di questa perimetrazione, nelle trincee di prima linea della guerra dei prezzi e dei mercati sconvolti dal conflitto si colloca il 30,7% dell’occupazione dell’intero sistema imprenditoriale italiano, coinvolgendo quasi un milione di imprese (946 mila unità), con 5 milioni 353 mila addetti, più della metà di questi (57,3%) occupati in micro e piccole imprese.
Con questa ampia diffusione degli impulsi recessivi, è alto il rischio di scivolare lungo un sentiero di bassa crescita, o peggio, verso una stagflazione, compromettendo la prevista riduzione del rapporto debito/Pil. Desta preoccupazione l’evoluzione delle politiche economiche dopo lo scoppio della guerra: una fiammata dei prezzi prolungata nel tempo farà scattare gli strumenti deflazionistici della politica monetaria (meno efficaci, peraltro, quando l’inflazione è prevalentemente da costi). Le regole di bilancio che governano la politica fiscale dei Paesi membri dell’Ue – per ora sospese fino al 2023 e già rese obsolete dalla pandemia – a seguito delle conseguenze della guerra rischiano di diventare velenose, imponendo restrizioni fiscali che si sincronizzerebbero pericolosamente con quelle di natura monetaria.
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