È difficile, di questi tempi, non avere idee apocalittiche, religiose o atee che siano. Innanzitutto, colpisce il tempismo della vicenda: il 24 febbraio Putin invade l’Ucraina, cioè a due anni più o meno esatti dallo scoppio della pandemia; questa data, in qualche modo, ne sanciva anche il termine, vista la dismissione graduale, ma generale, delle restrizioni adottate dai vari Stati per affrontare l’emergenza sanitaria.
L’economia, in America e in Europa, stava ripartendo alla grande, con stime di crescita globale (dal 4% al 7%) a cui non eravamo abituati da tempo. Poi, quasi senza soluzione di continuità, la guerra in Europa, possiamo dire. La coincidenza alimenta la narrativa, ampiamente riscontrabile su stampa e social, a proposito di forze oscure a presidio del mondo.
Mentre negli USA il conflitto russo-ucraino non avrà sensibili ripercussioni, tanto da non scomporre il programma di rientro dalle politiche espansive della banca centrale, preoccupata di contenere l’inflazione, non sarà così per il Vecchio continente.
La scarsa visione politica dominante ha creato negli anni una dipendenza energetica forte, per Germania e Italia in testa, dal gas di Putin: anche l’annessione illegittima della Crimea nel 2014 non ha impedito ai Paesi europei di incrementare le forniture rispetto al passato. Naturalmente, trattandosi di materia prima, basta a compromettere tutti gli anelli di qualsiasi catena produttiva. In fondo, lo sperimentiamo già nel costo delle bollette e dei carburanti, che si ripercuotono su tutto il resto.
Quello che però mi sembra più rilevante è che, pagando un prezzo di oltre 800 milioni di euro al giorno per le forniture di gas russo, stiamo di fatto finanziando “l’operazione speciale”, cioè il massacro, di Putin. Dotarsi di canali energetici alternativi non è purtroppo possibile nel breve termine, vista la scarsità e i costi di nuovi rigassificatori, per non parlare della costruzione di nuovi gasdotti, opere infrastrutturali che richiedono anni. Viene il sospetto che l’insistenza, diventata di moda da tempo, su fonti di energia pulita a zero impatto ambientale sia solo un passatempo per ricchi, avendo più volte ventilato l’ipotesi di riaprire le centrali a carbone.
Ma saliamo di livello. Dal “granaio d’Europa” (Ucraina) arrivano soprattutto cereali e oli vegetali (oltre il 50%). Russia e Ucraina sono tra i primi esportatori di grano tenero e di mais per la produzione di mangimi per animali, nonché di fertilizzanti per il terreno: per effetto delle sanzioni economiche e della scarsità produttiva dovuta alla guerra, agricoltura e allevamento subiranno un colpo durissimo con effetti sulla produzione alimentare e incremento dei prezzi del carrello della spesa, cosa che si sta già verificando da noi, per la farina e, di conseguenza, per il pane e altri prodotti, come avviene per elettricità, gas e carburanti. Benché l’Italia importi più del 60% del frumento dall’Unione europea, il suo prezzo è aumentato del 32% rispetto al mese di febbraio 2021, con il rischio che i Paesi fornitori si tutelino riducendo l’export a comprensibile beneficio della propria popolazione.
Mentre ciò per noi, al momento, crea generalmente un effetto panico che porta a svuotar scaffali di supermercati, per le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa, che importano più della metà dei cerali da Russia e Ucraina, il conflitto avrà conseguenze devastanti.
Per i Paesi più poveri significa una cosa sola: fame! Ancora più nera e letale di quella che lì tormenta la gente di solito.
Come sempre, del resto, l’offensiva bellica trapassa continuamente dal piano militare a quello civile, svelando compiutamente la propria natura di essere, in definitiva, soltanto un moltiplicatore di morte e, nel contempo, mostra quanto sia pericoloso considerare la pace come un diritto acquisito dopo più di 75 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Tocchiamo qui il punto cruciale: milioni di profughi, migliaia di morti, non solo a causa delle azioni militari, ma anche della sfiancante fatica dell’esilio, come una giovane madre di due figli, sopravvissuti e giunti finalmente in Italia, stroncata da un infarto appena scesa dal pullman alla periferia di Roma (ma quante storie simili a noi ignote!).
È incalcolabile il prezzo di una vita rispetto a qualsiasi sanzione economica. E se preoccupano le crisi economiche è – o dovrebbe essere – solo perché si trasformano in perdite umane.
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