La Legge di bilancio 2023 ha iniziato il suo iter parlamentare che dovrà concludersi entro la fine dell’anno per evitare l’esercizio provvisorio. Le opposizioni contestano alcune misure prese, dal taglio del Reddito di cittadinanza alla rivalutazione ridotta per le pensioni di importo superiore a quattro volte il minimo. I partiti della maggioranza cercano, invece, di trovare più spazio per i loro interventi “bandiera”. Nessuno, però, come evidenzia Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, sembra notare che si tratta di una manovra restrittiva.



«Solo due economisti che la pensano in modo molto diverso da me, come Veronica De Romanis e Giampaolo Galli, l’hanno riconosciuto, e ne sono purtroppo contenti, malgrado l’Italia si indirizzi con tutta probabilità verso l’ennesima recessione, circostanza che richiederebbe una politica fiscale espansiva. Anche perché diversamente il rapporto debito/Pil rischia di aumentare e con esso le probabilità che il nostro Paese esca dall’Europa».



Perché questa manovra è restrittiva?

Perché il Governo Meloni ha deciso di ridurre il deficit/Pil dal 5,6% al 4,5% tra il 2022 e il 2023. Invece, poiché il quadro tendenziale per l’anno prossimo parlava di un livello del 3,4%, tutti parlano di manovra espansiva. C’è, quindi, un apparente aumento di deficit/Pil, cioè dal 3,4% al 4,5%, nel 2023, ma in realtà si tratta di una sua minor riduzione, visto che il punto di partenza è il 5,6% del 2022: una stretta recessiva da 20 miliardi di euro di cui non si parla.

Com’è possibile una stretta così importante nel momento in cui, tra l’altro, si approvano nuove misure contro il caro energia per oltre 20 miliardi.



Il tutto è dovuto a una tassa invisibile che si chiama inflazione, che è stata ignorata, ma è potentemente presente nei conti pubblici.

In che modo?

Con un’inflazione stimata intorno al 5,5-6% nel 2023, le entrate in termini assoluti aumenteranno e resteranno sostanzialmente invariate in termini reali, mentre le uscite, cioè le risorse restituite all’economia dallo Stato, diminuiranno in termini reali, in particolare perché c’è un calo, persino in valori assoluti, dei redditi da lavoro dipendente e degli acquisti della Pa. In buona sostanza, non riconoscendo stipendi più alti ai dipendenti pubblici, il cui potere d’acquisto, pertanto, si riduce, e non allocando sui capitoli di bilancio maggiori spese per l’acquisto di beni utili per erogare servizi, come possono essere macchinari per eseguire le tac, avremo una riduzione del contributo della Pa all’andamento dell’economia, esattamente come avviene con una politica fiscale restrittiva. Lo Stato dà meno all’economia e lo fa in una maniera molto subdola e questo contribuirà a rendere il nostro Paese più vicino alla recessione nel 2023.

Aumentare gli stipendi ai dipendenti pubblici mentre restano fermi quelli del comparto privato sarebbe stato un problema. Si potevano, però, mettere altre risorse su altri voci del bilancio…

In un mondo ideale in cui si fa una vera spending review e si pretende dalla Pa che spenda bene, gli stipendi dei dipendenti pubblici devono assolutamente crescere, perché così si offre una maggiore produttività a tutto il Paese, dando quindi la possibilità di aumentare i salari anche nel settore privato. Solo con l’avvio di una seria spending review, vista la necessità di attrarre personale competente anche per fare in modo che ci siano appalti fatti bene, si può spendere di più per i redditi da lavoro dipendente della Pa. Detto questo, è vero che si potevano mettere più risorse sugli investimenti pubblici, ma, come dimostrato dal Pnrr, in Italia non riusciamo ancora a spendere bene e rispettando i tempi previsti queste risorse. Per fare maggior investimenti occorre riqualificare completamente la Pa, avviare come detto una vera spending review, ma è una cosa che al Governo non interessa minimamente.

È un aspetto che contraddistingue solo questo Governo?

No, nessuno finora ha lavorato sulla qualità delle stazioni appaltanti. Certo, però, non è un buon segnale il fatto che Giorgetti abbia annunciato una spending review ministeriale che vale 800 milioni di euro nel 2023. Tornando alla Legge di bilancio, mi sembra occorra prendere atto che l’impostazione sia di fatto identica a quella che avremmo avuto con l’Esecutivo precedente ancora in carico. Sembra che non siamo più sovrani della nostra politica fiscale. C’è mancanza di sovranità laddove dovrebbe esserci visto che la Commissione europea propone linee guida per la riforma del Patto di stabilità che dice essere ispirate a una maggior ownership della finanza pubblica da parte dei Paesi membri.

A proposito di Europa, quanto può aver inciso su questa manovra, visto che proprio nel giorno in cui il Governo la presentava alla stampa Bruxelles riaccendeva i fari sul livello del debito pubblico italiano?

L’Europa si dimostra miope – dato che per abbattere il rapporto debito/Pil occorre generare crescita con politiche fiscali espansive – e mette in difficoltà il Governo Meloni, perché quando tra un anno si prenderà atto che il Pil non è aumentato dello 0,6% come previsto, la Premier faticherà a tenere fermo il Paese e a non portarlo a un grado di maggior sovranismo negativo che aumenta le probabilità di uscita dell’Italia dall’Europa. Aggiungo che sono molto felice che sia stata avviata una riforma del Rdc, perché ho sempre pensato che sarebbe stato fallimentare per creare occupazione. Si tratta, però, di una misura che è stata in grado di generare minori disuguaglianze: togliere il Rdc senza aumentare l’occupazione, invece, le farà crescere.

Quale potrebbe essere una strada per togliere il Rdc e aumentare al contempo l’occupazione?

Andrebbe creata occupazione assumendo nei gangli della Pa tantissimi giovani e facendo crescere gli investimenti pubblici per creare cantieri, incrementando l’occupabilità di molte persone con titoli di studio più bassi. Questo, però, si può fare solo aumentando la qualità delle stazioni appaltanti, altrimenti rischiamo di vedere ancora ulteriore mancata spesa negli investimenti del Pnrr proprio in un momento di crisi e di grande fragilità per tutta l’Europa a livello politico, geopolitico ed economico. Si sta veramente giocando col fuoco.

(Lorenzo Torrisi)

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