L’invasione di turisti americani in Europa e in particolare in Italia ha ragioni profonde. Settimana scorsa il principale quotidiano finanziario americano, The Wall Street Journal, ha pubblicato un lungo articolo dal titolo “Gli europei stanno diventando più poveri”. L’Europa è diventata per gli americani quello che la Grecia era per gli italiani negli anni ’90. Il quotidiano ha messo nero su bianco le ragioni di questo impoverimento che è tanto più evidente se confrontato con la situazione americana.



Secondo l’analisi del Wall Street Journal a una popolazione anziana che predilige la sicurezza si è aggiunto “l’uno-due” della crisi del Covid e della guerra in Ucraina: “Sovvertendo le catene di fornitura globale e facendo impennare i prezzi dell’energia e degli alimentari, le crisi hanno aggravato malanni che duravano da decenni”. Non solo “le risposte dei Governi hanno peggiorato i problemi” perché hanno diretto i sussidi alle imprese lasciando i consumatori senza protezione. “Gli americani, al contrario, hanno beneficiato di prezzi dell’energia economici e di aiuti diretti primariamente ai consumatori”. L’analisi si chiude impietosamente: “Nel passato la formidabile industria esportatrice sarebbe arrivata in aiuto”; oggi “gli alti costi energetici e l’inflazione fuori controllo stanno riducendo i vantaggi di prezzo delle imprese nei mercati internazionali” e rovinando la pace sociale in Europa. “La pesante dipendenza europea dalle esportazioni sta diventando una debolezza”. Infine, l’inevitabile conclusione sulla riduzione del potere d’acquisto dei salari europei.



I lettori americani in meno di venti righe si sono trovati un’analisi lucidissima di quello che è successo in Europa; quelli europei, invece, brancolano spesso nel buio.

La fine della globalizzazione e delle catene di fornitura lunghe è una sfida al modello europeo che ha potuto prosperare in un mondo in cui le merci fluivano liberamente senza lacci politici. Le imprese europee trasformavano energia a basso costo, principalmente russa, e grazie a tecnologia e competenze vendevano in tutto il mondo. Le guerre commerciali sono un guaio per questo modello. L’Europa si sarebbe comunque dovuta ripensare, ma la crisi energetica impedisce di catturare le opportunità che arrivano dalla ridefinizione delle catene di fornitura. Gli Stati Uniti, invece, provano a cambiare modello, riportando in patria la manifattura, sfruttando i cambiamenti geopolitici grazie a prezzi energetici competitivi e alla loro proiezione internazionale che assicura la presa sulle risorse chiave.



L’impoverimento dell’Europa dall’altra parte dell’oceano e più facile da osservare e raccontarne le ragioni a New York non ha costi politici. Il primo risultato visibile del cambiamento in atto si tocca in queste settimane con l’invasione dei turisti americani che arrivano anche dove non si erano mai spinti nelle località di solito riservate agli italiani. L’Europa prova a uscire da questa crisi come ha sempre fatto e cioè provando a salvare a tutti i costi la competitività delle sue imprese scaricando i costi “extra” sui lavoratori. Solo che questa volta il costo da scaricare, causa crisi energetica, è colossale, i mercati di esportazione si prosciugano e i Paesi produttori di materie prime alzano i prezzi, monetari e politici.

Per uscire da questa crisi l’Europa dovrebbe fare come l’America: bassi costi energetici e politica estera funzionale agli obiettivi interni. L’alternativa non è piacevole e passa, appunto, dall'”impoverimento degli europei”.

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