Il Coronavirus sta rovesciando gli schemi della globalizzazione: lo scrive Milena Gabanelli con Luigi Offeddu per il Corriere della Sera. Innanzitutto, la pandemia stessa è stata frutto della globalizzazione, dal momento che il Coronavirus si è diffuso per il mondo seguendo le rotte di commercio e turismo, in particolare per via aerea. La Cina, da dove è partito, è il più grande fornitore al mondo di prodotti a basso costo, soprattutto nella componentistica meccanica e nel tessile, il luogo dove molte aziende occidentali negli ultimi vent’anni hanno delocalizzato parte dei propri impianti inseguendo i minori costi del lavoro.



Epicentro del contagio da Coronavirus sono poi state proprio Europa e Stati Uniti, i Paesi che hanno delocalizzato di più o che dipendono dalle forniture cinesi. Unica cura o prevenzione finora conosciuta: il distanziamento fisico, cioè il contrario della globalizzazione. Il traffico aereo è stata la prima grande vittima, da 107.000 voli al giorno (4,3 miliardi di passeggeri annui previsti) a zero per molte settimane, con tutto quel che ne consegue per le compagnie aeree, anche le più forti come Lufthansa.



Paralisi dei trasporti uguale crollo della domanda di petrolio, con la conseguenza che i produttori sono arrivati a pagare chi lo compra: per la prima volta nella storia il 21 aprile, 37 dollari per ogni barile di West Texas Intermediate. Il calo trascina in basso i prezzi delle materie prime, crollano consumi, produzione e domanda di quasi ogni bene.

GLOBALIZZAZIONE E CORONAVIRUS: STIME NERE PER L’ECONOMIA

Questa improvvisa crisi della globalizzazione, salvo alcuni nuovi settori strategici come la produzione di mascherine, ha portato il Fondo monetario a paventare per il 2020 la peggiore recessione mondiale dal 1930 (-3%), con un indebolimento del pil pro-capite in 170 Paesi – in Italia calo del 9,5% e nell’Eurozona di circa il 7%. Il Coronavirus potrebbe causare 9.000 milardi di dollari di perdite all’economia mondiale nel biennio 2020-2021.



Molte aziende europee si stanno organizzando per accorciare la filiera: la pandemia ha dimostrato che dipendere da un solo fornitore è pericoloso. Il Coronavirus ha così riportato indietro quelle nazioni in via di sviluppo che, grazie alla globalizzazione, avevano fatto dei progressi. In Africa l’Onu prospetta “carestie di proporzioni bibliche entro pochi mesi”, le persone a rischio fame salgono da 135 a 250 milioni.

Le diseguaglianze potrebbero dunque acuirsi ancora di più, ma scatteranno anche le contromisure, ad esempio contro i “paradisi fiscali” (anche europei) da cui traggono benefici anche i giganti della Silicon Valley (Amazon, Facebook, Apple, Netflix, Google, Microsoft), che hanno versato in tasse, dal 2010 al 2019, là dove fanno i loro profitti 100,2 miliardi di dollari in meno di quanto avrebbero dovuto.

GLOBALIZZAZIONE E CORONAVIRUS: IL RITORNO IN PATRIA

La globalizzazione dunque potrebbe subire una brusca frenata, accentuando un processo già in atto: negli ultimi cinque anni in Europa 253 aziende (di cui 39 italiane) sono tornate a produrre almeno in parte in patria: Italia, Francia e Regno Unito sono state dal 2015 in poi le nazioni con il numero più alto di relocalizzazioni. Si torna a casa per una riorganizzazione dell’azienda (61% dei casi), per accorciare i tempi di consegna (55%), per il ritrovato prestigio garantito dal «made in» a seguito dell’obbligo a scrivere in etichetta l’origine della materia prima (48%).

Nel 2020 la pandemia di Coronavirus potrebbe accentuare questa tendenza, anche perché sta fiorendo una nuova sensibilità che premia chi produce rispettando le regole del commercio equo. Lo scopo di molti, anche ministri, eurodeputati, amministratori delegati e associazioni di imprese o confederazioni sindacali, oltre alle più grandi ong, è quello di trasformare una disgrazia in una opportunità: con i miliardi stanziati per la ricostruzione, sviluppare un modello di prosperità più sostenibile.

Si punta dunque ad avviare lo European Green Deal, il piano della nuova Commissione Europea per arrivare entro il 2050 a una Ue libera dalla Co2 presentato l’11 dicembre, proprio mentre il Coronavirus iniziava il suo viaggio distruttivo. La pandemia sarà “l’assist” decisivo per farlo decollare?