Sarà Seoul, passando per Roma. Se ci fossero mai stati dubbi sulla tenuta dell’esperienza Gmg a distanza di quasi 40 anni dalla loro invenzione, l’edizione di Lisbona, forse tra le più belle di sempre, li ha spazzati via con un colpo di Grazia. Quella di vedere un pontefice, che solo poche settimane fa affrontava l’ennesimo intervento alla bella età di 86 anni, miracolosamente ringiovanito per contagio energetico. Oppure il milione e mezzo di persone, in gran parte giovani e giovanissimi a Parque Tejo, in silenzio, per incalcolabili minuti, in dialogo muto con il Santissimo. O ancora una Chiesa talmente incasinata da piangersi addosso ad ogni ecclesial-convegno, confusa alla vigilia di un Sinodo sulla sinodalità, ossessionata da banchi e casse vuote, venire rianimata nella Speranza da ragazzini catturati da un misticismo che neanche i grandi santi medievali.
Sembrava che la pandemia avesse definitivamente archiviato le adunate oceaniche sotto la Croce. Non ci è riuscita. C’è voglia non solo di incontrarsi, ballare, toccarsi, issare bandiere e cantare. C’è di più. C’è voglia di pregare. Nel modo più personale, intimo e bello. Davanti al Corpo di Cristo. Non una idea, ma un fatto. Per cui percorrere chilometri, attraversare oceani, sopportare giorni di fatica e disagi, caldo e freddo nell’arco di 12 ore, cibo spazzatura e umori. Esta es la joventud del Papa. Grido facile e falso. O meglio l’orgoglio cattolico-romano ci sta, ma è accompagnato da una consapevolezza che forse non si immaginava. Nessuno aveva calcolato il dolore accumulato nei mesi di isolamento, l’impatto della paura in anime in costruzione, la fragilità acquisita per osmosi da un mondo che sembra sempre cadere a pezzi. Nessuno tranne Papa Francesco.
Forse la sua visione di una chiesa aperta e dialogante mostra qui e là qualche falla, ma tiene dentro tutta la bellezza che abbiamo visto in questi giorni. E non è poco. L’immersione in un appuntamento come quello vissuto lo ha rivitalizzato: ci sarà da analizzare, capire, andare, oltre gli slogan e l’allegria, a fondo nelle ragioni di una presenza così massiccia e autorevole, che a quel “tutti, tutti, tutti” gridato da Francesco, spalancando le porte di ogni chiesa, crede davvero.
E poi la sfida di verificare nell’ordalia della quotidianità se l’entusiasmo registrato è autentico e a prova di clericalismo. Il credito che Francesco può vantare nel mondo giovanile non è solo suo. Appartiene alla Chiesa di Cristo. È di Cristo. Uno il cui amore è gratis, ha detto il Papa durante la veglia sulle rive del Tejo. Anzi l’unica cosa gratis nelle nostre vite, impacchettate per essere messe in vendita. Da stupidi non approfittarne.
I visi belli, sorpresi da un’alba da sogno ieri mattina, prima della Messa finale, sanno bene che dovranno affrontare il down da ritorno, una volta a casa. Per ora si tengono stretti ciò che hanno vissuto. Non solo emozioni e fuochi d’artificio. Ma l’incontro della vita, confermato o arrivato inatteso. E forse cominceranno a sognare davvero, come Francesco, un mondo dove si possa tornare a pronunciare la parola pace. Agli undici “obrigado” pronunciati ieri, al termine della mattinata, dal pontefice bisogna aggiungerne uno. A lui.
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