Un milione o giù di lì. Tanti sono attesi in queste ore per la Gmg numero 37. Intuizione profetica di san Giovanni Paolo II, che ha conservato intatti fascino ed energia. Ragazzi da tutto il mondo, convocati da un vecchietto di 86 anni che si aspetta tanto, anzi tantissimo, dal primo raduno post-Covid mondiale. Le generazioni Z, Alpha e persino Y sono a raccolta davanti all’oceano. Pronti a diventare materia sociologica per verificare lo stato del cattolicesimo, la tenuta della fede nel dopo-pandemia, la vitalità di modalità aggregative che hanno tenuto il passo per quasi 40 anni, ritmando la pastorale giovanile planetaria.
Ha ancora senso pensare alle Giornate mondiali della gioventù come eventi di massa, muscolose manifestazioni della fede, variopinte adunate sotto il vessillo della Croce? Esiste ancora quel cristianesimo fatto di orgoglio identitario e rivendicazioni pubbliche? Alternative eticamente e cristianamente sostenibili allo sballo comunitario dei rave party?
Chi imposta così la questione sbaglia di grosso. Certo i volti che si troverà di fronte Francesco sono gli stessi che saltano forsennati e si struggono ai concerti dei Måneskin o di the Weekend ma nutrono lo stesso rispetto che riservano a personaggi dello star system anche per Bergoglio. Non solo perché lui è rock, come noi boomers saremmo tentati di dire alla Celentano, ma perché il Papa possiede la stessa forza attrattiva di un influencer. Non è un caso che sia l’idolo degli eco-vandali per le sue posizioni ambientaliste: gli scalmanati che imbrattano monumenti e opere d’arte brandiscono l’enciclica Laudato Si’, come i nostri padri agitavano il “libretto rosso” di Mao. Francesco piace, è credibile, autentico, affidabile. In una parola, vero. Sui social spopola nella versione di Maupal, ma anche quando si cimenta in dirette Instagram, quando non esita a concedersi nei selfies, negli ammiccamenti da star consumata.
Eppure oltre le vetrine social rimane una percettibile distanza tra ciò che galleggia nel web e la verità di un uomo risolto e definito dall’incontro con Cristo. “Non fuochi d’artificio” ha anticipato molto pacatamente ieri il segretario di Stato Vaticano, il card. Pietro Parolin, parlando ai media vaticani dell’appuntamento di Lisbona tra Francesco e i giovani. Un invito ad oltrepassare i confini del già visto e detto, della retorica che già prova a marcire un appuntamento segnato sì dall’entusiasmo, ma anche dal silenzio. Come quello che aleggia nel giardino Vasco de Gama a Belem, dove si amministra a piene mani il sacramento della Riconciliazione o nelle celebrazioni eucaristiche che marchiano le giornate, rendendole piene.
C’è la festa, ma anche lo spazio dell’io e dell’incontro. I canti, le inevitabili schitarrate, i balli di gruppo e il sudore delle marce tra le pietre roventi della bellissima e seduttiva Lisbona fanno parte del pacchetto della Gmg. Ma per i prossimi giorni proviamo a farci sorprendere da un evento che, al di là del tributo al politicamente corretto e al mainstreaming della diversità, è vincente proprio perché pone sul piatto l’unica vera domanda che conta davvero. Dov’è la mia felicità? Non lasciamoci ingannare dal comodo e addomesticato Francesco del “chi sono io per giudicare”. Lui l’ha risposta ce l’ha, chiarissima. Ed è ciò che propone ai ragazzi.
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