Il volto di Mery, al secolo Maria Sanvito, si illumina quando parla di quei produttori che è andata a conoscere uno per uno per mettere insieme il suo ambizioso progetto, FattorMia, che vuole unire la città alla campagna, invitando proprio i cittadini a diventare co-produttori, ovvero adottando un filare, una gallina, una pecora di una cascina lontana e bellissima della nostra campagna. Le uova di Tuorlo Biancofiore che vengono raccolte a San Giovanni Rotondo fanno parte del circuito, come l’olio e i vini della Maliosa di Saturnia.



Storie pazzesche che in FattorMia hanno trovato quello che abbiamo chiamato “Il Gusto della Colleganza”, titolo della prossima edizione di Golosaria Milano (in programma dal 6 all’8 novembre al MiCo di Fieramilanocity), dove ci saranno tutti per raccontare questo valore che emerge da due anni di pandemia.

La Colleganza è una parola che non conoscevo, me l’ha detta Sabrina, che a Lainate gestisce la gelateria -16 e quando è salita sul palco di Golosaria, nel 2019, ci ha scritto una lettera bellissima, dicendo che si è sentita compresa, lei che era una psicologa (mentre Mery era una ballerina, ma poi tutto torna in qualunque mestiere tu ti trovi a fare). Si è sentita dentro a una comunità, dove gli altri produttori non sono concorrenti, ma colleghi.



Questa lettera è diventata un manifesto programmatico, in questi due anni di vita del Club Papillon e domenica pomeriggio si potrà anche firmare il testo in 10 punti, commentato dal dottor Mario Sala, per dire ai titolari di botteghe, di ristoranti, ai produttori stessi, che insieme tutto diventa una potenza.

Nell’area del wine andrò a vedere come se la cava Virginia, giovane produttrice in Romagna di un’Albana pazzesca, che nasce dalle vene del gesso di Casola Valsenio. Ci andrò commosso, perché è stato l’ultimo bicchiere che ha bevuto il mio amico Luigino, che a Golosaria aveva invitato Francesco Lepori, produttore di Caricagiola a Trinità d’Agultu.



Quante storie si intrecceranno in questi tre giorni, dove giungerà dal Trentino Giobbe Tava, anche lui con le uova speciali che usano i grandi chef. Irene invece sforna pane da un’antica farina di grani san Pastore coltivati in Val Borbera, mentre dalla frazione Cosasca di Trontano, in Val d’Ossola, Jodie porterà i suoi formaggi, che impreziosiscono le pizze di Alessandro Bassa a Villadossola.

Anche queste sono magnifiche storie di Colleganza, perché i giovani di oggi sono così: si concepiscono insieme, si incontrano, vivono a fanno vivere luoghi apparentemente destinati all’abbandono. Il faro di tutti questi si chiama Ferdy, che è il nome del padre di Nicolò Quarteroni, che conduce l’omonimo agriturismo di Lenna in Val Brembana e che ha radunato i piccoli produttori di vino della montagna (quelli che fanno poche migliaia di bottiglie) per dare valore al loro lavoro. Commercializza lui questi vini e con questa azione favorisce fiducia che nessun altro sarebbe in grado di regalare.

Potrei andare avanti per ore a raccontare questo mondo che si mette insieme, ancor più dopo il periodo pandemico. Sabato pomeriggio partiremo dal racconto di chi fa tutto questo: Cometa, Piazza dei Mestieri, l’Istituto don Gnocchi di Carate, Giotto di Padova, fino al Banco Alimentare, che è Colleganza con gli ultimi.

Ora, questa settimana è un bombardamento di telefonate, interviste, che io e Marco Gatti ci dividiamo fra radio e tivù, perché questo tema della Colleganza sembra spiazzante: non il solito spadellamento di cuochi famosi che con la loro presenza sembrano dare contenuto a una fiera, ma storie di vita che si intrecciano con un fattore esistenziale, che è il gusto.

In una di queste mi han chiesto, dopo 35 anni di lavoro da giornalista, e 21 anni di Golosaria (di cui 16 a Milano), come si fa ad essere sempre entusiasti. Non so, francamente non so cosa rispondere, se non che mi sento trasportato ogni volta, da volti curiosi come quello di Mery, di Virginia, di Irene, di Giobbe, di Ferdy, di Jodie.

Vi aspetto in tanti, nel magnifico mondo della Colleganza.

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