La Cina ha bloccato una bozza di dichiarazione preparata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU in cui si condannava di fatto il colpo di stato militare in atto in Myanmar (l’ex Birmania): a riportare la notizia nelle ultime ore è stata la BBC secondo cui ha trovato dunque l’opposizione del governo di Pechino (che come è noto in quanto membro permanente di questo organismo ha diritto di veto) la dichiarazione congiunta da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in merito al golpe in corso nello Stato dell’Asia sudorientale. Il colpo di stato orchestrato dai militari ha destato sensazione soprattutto perché ha condotto all’arresto pure di Aung San Suu Kyi, la 75enne politica e attivista già Premio Nobel per la Pace nel 1991 e che fino alla sua destituzione era stata Consigliere di Stato oltre che Ministro degli Affari Esteri.
Stop dunque alla bozza di risoluzione congiunta e irritazione da parte degli altri membri permanenti dell’ONU dato che la dichiarazione chiedeva innanzitutto il ripristino della democrazia a Myanmar, oltre che il rispetto dei diritti umani in queste ore concitate e anche la liberazione dei prigionieri politici a cominciate dall’attivista che era stata presa in custodia da alcun militari all’alba di lunedì 1° febbraio. Da allora le notizie a proposito del luogo in cui è tenuta in prigionia e il suo stato di salute sono cessate, con rumors che si rincorrono senza trovare conferma eccetto il fatto che resterà agli arresti almeno fino al prossimo 15 febbraio con l’accusa, invero singolare, di aver violato una legge sull’import/export di walkie-talkie che sono stati trovati dai militari nella sua abitazione di Naypyidaw e per la quale rischierebbe tre anni di carcere.
GOLPE A MYANMAR, LA CINA BLOCCA LA RISOLUZIONE DI CONDANNA DELL’ONU
Se dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è arrivata l’unanimità in merito alla bozza di risoluzione di cui sopra, i Ministri degli Esteri dei Paesi che fanno parte del G7 hanno fermamente condannato il golpe e si sono detti “profondamente preoccupati” per gli sviluppi che lo stato di emergenza potrebbe avere nell’ex Birmania. In tale contesto Pechino, già nel mirino incrociato delle critiche anche per la dura repressione delle proteste democratiche a Hong Kong, si viene a trovare nella posizione di quei pochi Paesi che, non condannandolo, stanno di conseguenza legittimando il golpe in corso a Myanmar.
Accusa rigettata tuttavia dal Ministro degli Esteri cinese che ha spiegato come, “in quanto Paese amico del Myanmar”, si desidera solo che le parti possano risolvere le loro divergenze al fine di sostenere la stabilità politica e sociale. Intanto, se dal G7 la condanna è arrivata ed è stata unanime, sul fronte europeo la Francia (per bocca del proprio Ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian) ha auspicato nuove sanzioni contro l’esercito birmano, ponendosi sulla stessa linea del neo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che pure aveva minacciato il ripristino del precedente regime sanzionatorio per Myanmar.