Il riflesso mediatico del conflitto russo-ucraino genera tra le altre conseguenze l’effetto di nascondere le tragedie africane e la difficoltà, per l’opinione pubblica europea, di comprendere cosa accade dall’altra parte del Mediterraneo. Gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, compresa l’Italia, devono affrontare la complessa fase iniziale dell’emergenza legata alla tutela delle vite in mare e all’accoglienza nei porti. In questo senso, la dicotomia tra Paesi di prima accoglienza e Paesi di successiva distribuzione dei migranti ha alimentato, nel corso degli ultimi anni, frequenti attriti tra governi, soprattutto in un contesto storico caratterizzato dalla crescita di partiti populisti che hanno fatto di una politica migratoria restrittiva il fulcro dei propri programmi elettorali.



Ma questa è solo una faccia della medaglia. Ciò che dovrebbe realmente preoccupare i governi europei è il nuovo “grande gioco” che sta coinvolgendo l’intero continente africano. Il golpe in Gabon rappresenta solo l’ultimo di una serie di colpi di Stato militari che hanno avuto luogo negli ultimi tre anni in Africa (Mali, Burkina Faso, Sudan, Guinea) e giunge ad appena un mese di distanza dall’insurrezione dell’esercito e della guardia presidenziale che ha destituito il presidente nigerino Bazoum.



A legare i diversi colpi di Stato ci sono alcuni elementi comuni: il deterioramento della situazione economica e l’impoverimento della popolazione, il peggioramento delle pratiche predatorie da parte delle élites di potere e, più in generale, una crescente sfiducia verso la democrazia e le forze politiche civili. Tuttavia, a differenza del Gabon, in Niger, Mali e Burkina Faso i militari hanno giustificato la propria azione anche con la necessità di porre un freno alla crisi securitaria innescata dai movimenti jihadisti. Dopo poco più di due mesi di guerra, il bilancio stilato in Sudan dall’Unhcr è terrificante: due milioni e mezzo di persone sono sfollate a causa dei combattimenti a Khartoum e nelle regioni del Darfur e del Kordofan. Sono 560mila i sudanesi rifugiati nei Paesi vicini come Egitto, Ciad, Etiopia, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, che però hanno già i loro problemi.



L’Etiopia, per esempio, sta uscendo con difficoltà da una guerra atroce nella provincia del Tigray e vive a sua volta un dramma umanitario. L’Africa è in fiamme e quelli fatti sono solo alcuni esempi della rottura degli equilibri post-coloniali. In questo senso, a livello internazionale, il golpe gabonese rappresenta l’ennesimo colpo all’influenza e alla rete di rapporti francesi in Africa occidentale. Infatti, sebbene i militari gabonesi non abbiamo manifestato lo stesso, radicale, sentimento anti-francese dei colleghi maliani e burkinabè, permangono dubbi su quale sarà il loro rapporto con Parigi. Chiave di questa inedita situazione è la personalità del generale Brice Oligui Nguema. Il Marocco, con una nota del suo ministero degli Esteri, ha detto di seguire, da vicino, l’evoluzione della situazione nella Repubblica del Gabon.

La nota sottolinea “l’importanza di preservare la stabilità di questo Paese fratello e la tranquillità della sua popolazione”. “Il Marocco – si spiega nel comunicato – confida nella saggezza della nazione gabonese, nelle sue forze vitali e nelle sue istituzioni nazionali, per avanzare verso una prospettiva che permetta di agire nel miglior interesse del Paese, per salvaguardare i risultati raggiunti e per soddisfare le aspirazioni del fratello gabonese”. Fra i due Paesi intercorrono relazioni strette e privilegiate, grazie ai legami di amicizia tra il re Mohammed VI e il presidente Ali Bongo Ondimba, amici fin dall’infanzia. Ora il generale golpista Oligui Nguema guarda caso risulta essere cugino della famiglia Bongo e nello stesso tempo ha condotto parte dei suoi studi militari in Marocco.

Dal caos apparente africano possono emergere nuove potenze già da tempo protagoniste della nuova storia africana. Il Marocco, la Nigeria, l’Egitto sono tra queste. Senza trascurare l’influenza che nella regione esercitano russi, cinesi, turchi e diversi Paesi arabi. E l’Europa? Non pervenuta. Si limita a piangere lacrime di coccodrillo sui morti del Mediterraneo e a pensare che il problema principale siano i flussi migratori piuttosto che episodiche iniziative diplomatiche o militari. Senza l’Africa invece l’Europa non ha futuro. E il tempo per promuovere una qualsivoglia strategia, fosse anche il tanto vantato e mai nato Piano Mattei dell’Italia, è scaduto.

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