In Gabon finisce la dinastia dei Bongo. Un colpo di Stato al quale avrebbe partecipato la Guardia repubblicana, quella pretoriana della presidenza, ma anche l’esercito e la polizia, ha deposto Ali Bongo pochi giorni dopo l’elezione in una consultazione elettorale macchiata dall’accusa di brogli da parte sua.
È l’ennesimo colpo di Stato africano in un Paese che da sempre ha legami con la Francia, che perde un altro punto di appoggio nel continente dal quale viene progressivamente allontanata dopo un importante passato coloniale. Il golpe è tutto interno, senza influenze straniere.
Ma il Gabon vanta risorse petrolifere, già sfruttate da francesi e cinesi, e il rischio che i russi cerchino di allargare anche a questa nazione la loro presenza in Africa non è così campato in aria. Una situazione complicata: la spiega Marco Di Liddo, direttore del Cesi, Centro studi internazionali.
Da cosa nasce questo nuovo colpo di Stato africano?
È una dinamica tutta interna. La famiglia dei Bongo era al potere in Gabon da decenni. Il Paese era di fatto governato dalla famiglia: le sue proprietà e le proprietà degli amici del presidente erano di fatto indistinguibili dalla proprietà dello Stato, se non per ragioni puramente formali. Nell’ultima tornata elettorale, in cui non c’era un’autentica opposizione e il partito al potere era favorito perché siamo lontani dagli standard democratici, il presidente è stato confermato. L’effetto è stata questa reazione dei militari che hanno dato voce sostanzialmente al dissenso popolare.
Le elezioni sono state caratterizzate da brogli?
Assolutamente sì, non è una cosa di cui ci dobbiamo sorprendere: non era una consultazione elettorale libera e trasparente. Finché il sistema clientelare retto dalla famiglia al potere è riuscito a redistribuire i benefici, allora si poteva tenere sotto controllo il Paese. Nel momento in cui c’è stato un concentramento ulteriore della ricchezza nelle mani di pochi, ecco la ribellione. E in questo caso ad approfittarne sono le forze armate, che sono una organizzazione strutturata, l’unica che può lanciar un guanto di sfida alla compagine presidenziale.
Quanto era forte il legame dei Bongo con la Francia?
La famiglia dei Bongo era strettamente legata alla Francia, che era il suo interlocutore politico ed economico privilegiato. Il Gabon è un importante produttore di petrolio africano e ha al proprio interno società internazionali, soprattutto francesi e cinesi. La presenza dei cinesi, però, non è legata in nessun modo a questo colpo di Stato. Pechino negli anni ha dimostrato di fare affari con tutti i Paesi africani indipendentemente dal loro orientamento.
Li convince con i soldi?
Esatto. I cinesi non hanno bisogno che il presidente di un Paese giuri fedeltà a Pechino, perché le offerte che fa la Cina sono talmente convenienti che non c’è competizione.
Questo golpe significa che i francesi subiscono un altro colpo in Africa?
Assolutamente sì. La Francia perde un altro partner e continua l’effetto domino iniziato nel 2013. Nel momento in cui i francesi decisero di intervenire in Mali si ingenerò una svolta nella loro politica in Africa: furono costretti a intervenire per cercare di salvare una leadership politica a loro favorevole e lo hanno dovuto fare militarmente. Da lì hanno visto erodersi sempre di più la propria legittimità politica e alienarsi ulteriormente la residua simpatia degli africani, che sin dall’inizio del processo di decolonizzazione avevano forti sentimenti antifrancesi.
Non è che adesso anche il Gabon finisce per appoggiarsi alla Russia?
Dipende dalle scelte che faranno i militari. Il grosso problema è che dal fallimento dell’operazione in Mali abbiamo avuto un effetto a cascata. Ci sono stati colpi di Stato in Mali, in Burkina Faso, quindi in Niger. E in nessuno di questi tre Paesi la comunità internazionale, sia a livello regionale, sia a livello globale, si è dimostrata in grado di gestire queste crisi. Infatti le giunte militari sono ancora al potere in tutti e tre i casi e continuano ad avere rapporti con Paesi come Cina, Russia, Arabia Saudita. Non sono isolate internazionalmente. In Niger ancora si discute se intervenire militarmente o meno e la giunta rafforza la sua posizione. E adesso c’è anche il Gabon.
Torniamo alla Russia.
Il rischio che in Niger e Gabon arrivino i russi c’è. La comunità internazionale, o meglio l’Europa, decide di non parlare con queste giunte militari, che, vista la situazione, cercano altri partner per continuare ad avere rapporti commerciali e per vedersi legittimati. I russi entrano in gioco in questo momento: offrono a queste giunte delle alternative politiche ed economiche. Dicono: “Non vi preoccupate, anche se siete militari golpisti noi siamo disposti a fare affari con voi. Anzi vi diamo tutti quei canali politici ed economici che vi sono stati chiusi dai francesi e dagli europei”.
Ma qual è la situazione economica del Paese?
È un Paese povero. Ricco di risorse petrolifere anche se il benessere di queste risorse andava a favore della famiglia di Bongo e di altri protegés. Adesso i militari intendono diventare loro i manager di quella ricchezza. Il problema grave è che questi fenomeni nascono dall’emulazione di quello che è avvenuto in altri Paesi. I militari del Gabon hanno visto quello che sta succedendo in Niger e i nigerini hanno fatto quello che hanno visto in Mali e Burkina Faso. Lo stesso è successo con il Sudan quando è stato deposti Al Bashir: abbiamo ritenuto che le forze armate fossero un partner credibile perché avevamo paura che il Paese finisse nelle mani di altre potenze e che aumentassero enormemente i flussi migratori. Tanti altri colonnelli in giro per l’Africa si sono sentiti autorizzati a fare altrettanto.
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