Osservare, dialogare e sorvegliare gli sviluppi. Questo può e deve fare l’Italia, presente in Niger con la missione Misin, dopo il colpo di Stato che che ha spodestato il presidente Mohammed Bazoum. A sostenerlo è il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi, Libano, Somalia, Kosovo, Afghanistan, dove è stato capo di stato maggiore del comando Isaf.
“Anche in Africa stiamo assistendo ad una marcata polarizzazione anti-occidentale” spiega Bertolini al Sussidiario. La missione italiana? “Non siamo visti come i francesi, potremmo trovarci ad avere un ruolo di mediazione”.
Proprio la Francia, secondo il militare, potrebbe non avere rinunciato all’ipotesi di un intervento armato, nonostante la smentita.
Se entro sabato non sarà ripristinato lo status quo a Niamey, l’Ecowas (Economic Community of West African States) ha minacciato l’azione militare. È un rischio concreto?
Difficile dirlo. Il Mali e il Burkina Faso hanno detto che un intervento armato sarebbe considerato un “atto di guerra” nei loro confronti. È un monito molto forte. Di sicuro un intervento militare esterno in Niger aggraverebbe enormemente una situazione già complicata. La strada maestra da percorrere è quella diplomatica.
A Niamey si sono viste manifestazioni pro-russe e anti-occidentali, in particolare antifrancesi. In Niger però il retaggio coloniale francese non lo scoprono certo adesso.
Questo è vero. Il problema, comunque, c’è da tempo, perché Parigi a sud del Sahara ha sempre coltivato interessi enormi. Dal Niger viene il 25% dell’uranio che alimenta le centrali nucleari francesi ed europee. Una decolonizzazione vera non c’è mai stata, la Francia si è sempre comportata da padrona, tutelando solamente i propri interessi. La stessa operazione Barkhane, finalizzata a sconfiggere i jihadisti e risoltasi con un fallimento per Parigi, interessava tutta l’area del G5 Sahel, indipendentemente dai confini tra i singoli Stati.
A suo avviso con il golpe il Niger è già scivolato in un’area di influenza alternativa a quella occidentale?
Secondo me sì. Siamo in un momento di polarizzazione estrema, molti Paesi africani si stanno avvicinando ai Brics e alla Russia. Basti pensare al recente summit di San Pietroburgo, con Putin che ha promesso forniture di grano gratis e cancellato debiti per 23 mld di dollari. E la crisi in Niger ha indotto altre capitali africane a schierarsi.
Qual è il bilancio di questa polarizzazione?
Nel complesso, la presenza occidentale tradizionale sta arretrando. Direi che proprio in Africa il multilateralismo si sta esercitando in maniera accentuata. Lo stesso fondamentalismo islamico è un fattore di questo processo.
È una sfida a Stati Uniti e Occidente?
Sì. Non a caso la presenza dei contingenti americani è giustificata dalla necessità di controllare i movimenti che avvengono nel Sahel: ad Agadez gli Usa hanno una base di droni con i quali controllano tutta l’area, non solo quella nigerina. Gibuti una volta era una sede importante della legione straniera, adesso la Cina vi sta costruendo una base militare e continua ad espandersi.
Secondo Podolyak, consigliere di Zelensky, c’è il gruppo Wagner dietro il golpe in Niger. Invece Washington e Bruxelles lo negano. È solo cautela politica?
Che il gruppo Wagner sia presente in Africa – Mali, Burkina Faso, Libia, Centrafrica, Sudan – lo sappiamo tutti. Prigozhin si è congratulato con i golpisti, Peskov invece si è detto favorevole al ripristino dello stato di diritto. In ogni caso il risultato finale non cambia.
Che cosa significa?
Anche se Mosca non è l’artefice di questa situazione, sicuramente si candida ad essere in cima alla lista di coloro che ne traggono i maggiori vantaggi. È nella posizione migliore per cavalcare l’onda anti-coloniale di affrancamento dall’influenza dell’Occidente.
L’Italia è in Niger con la missione Misin, estesa a Niger, Mauritania, Nigeria e Benin, con obiettivi di contrasto ai traffici illegali e alle minacce alla sicurezza. Che cosa dobbiamo o possiamo fare?
In questo momento, la cosa migliore è fare da spettatori, senza muovere un dito se non per ragioni di autodifesa. Proprio perché non sappiamo quello che può succedere. E soprattutto perché i nostri soldati si trovano in una situazione molto imbarazzante e difficile.
Abbiamo addestrato i golpisti?
Abbiamo addestrato anche soldati golpisti: c’è sicuramente un’altra parte consistente di soldati nigerini addestrati dai nostri che si contrappongono ai primi. Dunque meglio non muoversi, per non aiutare qualcun altro.
Potremmo dover assumere un ruolo nello sviluppo degli eventi?
Il nostro valore aggiunto in quell’area è quello di non essere visti come i colonizzatori francesi. Questo potrebbe facilitare il ruolo di mediazione che viene riconosciuto all’Italia. Sarebbe stato bello se lo avessimo svolto anche nel conflitto tra Russia e Ucraina.
L’altro ieri la Francia ha smentito l’ipotesi di un intervento armato che i golpisti le hanno attribuito. I francesi potrebbero averci pensato?
Si può tranquillamente ritenere di sì. Dal punto di vista militare, la Francia ha la determinazione e l’abitudine ad usare la forza armata di cui dispone. Se ha smentito, secondo me è per due motivi.
Quali?
O perché si è resa conto che un intervento militare nelle attuali condizioni dovrebbe superare un determinato livello di esercizio della forza ritenuto controproducente.
Oppure?
Oppure è una military deception, cioè dice state tranquilli, e smentisce, ma in realtà sta lavorando per intervenire.
Auguriamoci il primo scenario.
Sì, perché un conto è eliminare qualcuno che ha alzato la testa con alcuni sodali, tutt’altra cosa è iniziare una campagna militare in un contesto di instabilità generalizzata per rimettere al potere chi c’era prima, come se niente fosse accaduto. A Parigi dovrebbero averlo compreso.
Che cosa dovrebbe fare il Governo italiano?
Osservare, dialogare e sorvegliare gli sviluppi. Capire cosa fanno quelli che hanno le idee più chiare. Nigerini a parte, ovviamente.
A chi si riferisce?
In quell’area ci sono i servizi di tutti i principali protagonisti della politica internazionale: Stati Uniti, Russia e Francia. Sono tutti al lavoro per capire come sfruttare la situazione a vantaggio dei propri interessi nazionali.
Non sarebbe una novità. E l’Europa?
L’Europa ha già dimostrato di che pasta è fatta, lasciando scoppiare e prosperare una disastrosa guerra ai propri confini senza proferire una sillaba.
Che cosa cambia per l’Italia e l’Ue, sotto il profilo dei flussi migratori, con un Niger praticamente sottratto alla nostra influenza?
Non è sotto la nostra influenza. Le nostra presenza è nella capitale Niamey, situata nell’estremo sud del Paese, e può avere un’influenza indiretta ma non sostanziale. Lo provano i flussi migratori già aumentati prima della crisi. A nord, vicino alla Libia, ci sono i francesi e al centro gli americani. Credo che la situazione non cambierebbe di molto.
(Federico Ferraù)
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