Sembrava che il Sudan, dopo decenni di sanguinaria dittatura islamista, si fosse finalmente avviato verso la strada della democrazia. Nel 2019 militari e forze civili avevano infatti rimosso il dittatore Omar al-Bashir, mettendo a capo di un governo transitorio, in attesa di elezioni previste per il 2023, Abdalla Hamdok, che aveva concesso molte libertà civili, inserendo ad esempio nel suo governo diversi ministri donne. Ed è proprio Hamdok che è stato adesso destituito e messo agli arresti domiciliari insieme ad alcuni dei suoi ministri da quello che sta assumendo la forma chiara del colpo di Stato ad opera dei militari, guidati dal generale Fattah Al Burhan.



Motivazione ufficiale è che le elezioni vanno convocate immediatamente, cosa che in Sudan non significa in alcun modo un voto libero e democratico, dato che per trent’anni al-Bashir si era assicurato il potere con oltre il 90% dei consensi. “E’ un colpo di Stato annunciato” ci ha detto Stefano Piazzagiornalista, saggista, esperto di terrorismo islamico, “già in precedenza c’era stato un tentativo analogo guidato dall’ex presidente. E’ facile immaginare che dietro a questo golpe ci sia lui o comunque forze legate all’islamismo radicale”. Al momento è il caos, con migliaia di persone scese in strada per protestare, mentre i soldati sparano e uccidono.



E’ caos a Khartoum, la capitale del Sudan. Chi potrebbe esserci dietro a questo golpe improvviso?

Bisogna capire questo generale Al Burhan a chi fa capo. Certo è che è molto probabile ci siano forze che hanno governato in passato interessate a prendere in mano il paese. In realtà non si tratta di un golpe improvviso, era da giorni che si tenevano manifestazioni contro il presidente in carica. La situazione al momento è fluida e potrebbe cambiare improvvisamente.

Impossibile al momento indicare una mente dietro al colpo di Stato?

Sì, però c’è un fatto degno di nota che è stato poco pubblicizzato. Lo scorso 5 ottobre è stato reso pubblico un episodio accaduto il 29 settembre, quando alcuni membri di una cellula dell’Isis sono stati uccisi in uno scontro armato in cui hanno perso la vita anche alcuni soldati. Altri quattro jihadisti sono riusciti a fuggire e c’è stata una serie di arresti di presunti miliziani. Su questa presenza dell’Isis in Sudan avevano giocato forte gli oppositori del presidente, che parlavano di mancanza di sicurezza. L’Isis si è qui manifestato a partire dal 2019, anche se le autorità hanno sempre cercato di minimizzarne la presenza. Non si può escludere che questo episodio sia stato utilizzato per fare il colpo di Stato.



Il Sahel, regione che arriva fino al Sudan, è da tempo infestata dall’Isis. E’ facile che si siano infiltrati, non crede?

Certamente, e in Sudan troverebbero terreno fertile. Spesso quando si analizzano i fatti basterebbe guardare la cartina. Si vedrebbe che confinano con il Sudan paesi come il Ciad, la Libia, la Repubblica Centrafricana e l’Egitto, dove al Qaeda è una forte presenza. Tutti paesi che vivono l’emergenza terrorismo. Se pensiamo poi al Sahel, è facile ipotizzare l’ingresso dell’Isis in Sudan.

Stati Uniti e Unione europea sono presenti in Sudan?

Gli Usa sono impegnati su altri fronti, hanno problemi nell’Indo-Pacifico, in qualche paese africano si stanno muovendo, ma non nel Sudan, che non ha risorse naturali importanti. Non credo proprio che correranno in soccorso dei sudanesi. Stessa cosa, per ragioni di debolezza politica che le impediscono di fare ogni cosa, vale per l’Unione europea, che sta inviando un miliardo di dollari di aiuti ai talebani che impiccano e uccidono le donne.

Quindi è facile prevedere che in Sudan assisteremo a un ritorno dell’islamismo radicale?

Bisogna capire cosa succederà nelle prossime 72 ore, quelle classiche per vedere chi assumerà il potere. Al momento ci sono i militari.

(Paolo Vites)

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