LA REAZIONE DELL’ECOWAS E DEGLI USA AL PROCESSO SU BAZOUM
Mentre bandiere della Russia vengono sventolate dai sostenitori del golpe in Niger davanti alla base militare francese, sono gli stessi golpisti a mandare un nuovo messaggio di “sfida” all’Ecowas pur rimanendo nella posizione di voler tenere aperti i negoziati per evitare la guerra nel Sahel: «il Niger è in grado di superare le sanzioni imposte dopo il colpo di stato, anche se rappresentano una sfida ingiusta», ha fatto sapere nel pomeriggio il premier nominato dalla giunta militare, Ali Mahaman Lamine Zeine, in un’intervista al tedesco “Deutsche Welle”. In merito alle misure prese dagli altri Paesi dell’Africa occidentale, il leader piazzato dal generale Tchiani per guidare il nuovo Governo militare aggiunge «Pensiamo che, anche se ci è stata imposta una sfida ingiusta, dovremmo essere in grado di superarla».
La reazione di Occidente ed Ecowas resta piuttosto tesa in merito alle posizioni prese dal Niger in queste ultime ore, non da ultimo l’annuncio di un processo per alto tradimento contro il presidente deposto Bazoum: «le minacce di procedimenti legali contro il presidente destituito costituiscono una nuova provocazione da parte del regime militare che ha preso il potere in Niger», così rileva la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) in un comunicato stampa. Non solo, con questa forma di provocazione, conclude la nota, «si contraddice la volontà attribuita alle autorità militari della Repubblica del Niger di ripristinare l’ordine costituzionale con mezzi pacifici». Anche da Washington non è stata gradita la mossa dei golpisti e il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Vedant Patel lo dice senza mezzi termini, «Siamo incredibilmente costernati dalle notizie secondo cui l’ingiusta detenzione del presidente Bazoum è andata ancora oltre. Questa azione è del tutto ingiustificata e, francamente, non contribuirà a una risoluzione pacifica di questa crisi».
GOLPISTI IN NIGER APRONO AL NEGOZIATO MA CERCANO ANCHE ALLEANZE DI GUERRA
«La mia porta è aperta per esplorare la via della diplomazia e della pace al fine di risolvere»: lo ha detto il generale Abdourahamane Tchiani nella serata del 13 agosto, aprendo per la prima volta a possibili negoziati dopo il golpe in Niger dello scorso 26 luglio. Il leader dei militari dopo aver dato il via al Governo insediatosi la scorsa settimana – a seguito dell’arresto dell’ex presidente Bazoum – punta al doppio gioco internazionale aprendo da un lato ai negoziati con l’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale) ma processando il presidente eletto democraticamente.
«Il generale Abdourahamane Tiani ha dichiarato che la sua porta era aperta per esplorare la via della diplomazia e della pace al fine di risolvere la crisi»: la conferma arriva in un comunicato stampa dallo sceicco Bala Lau, a capo della missione di mediazione di religiosi nigeriani, svolta con l’accordo del presidente della Nigeria Bola Tinubu (attuale presidente dell’Ecowas). Di contro, la delegazione inviata da Niamey in Guinea ha chiesto sostegno al governo locale «per affrontare le sfide future»: il rischio di una guerra imminente in Niger è ancora all’ordine del giorno, con in particolare Nigeria, Costa d’Avorio e Benin che si dicono da giorni pronti ad affrontare il conflitto – con tanto di militari spostati al confine – qualora i golpisti di Tchiani non accettassero le condizioni di rilascio del presidente Bazoum. Per questo motivo la giunta nigerina cerca sponde e alleanze strategiche, a cominciare dall’influenza della Russia di Putin e proseguendo con Mali, Burkina Faso e forse anche Guinea.
DAL NIGER AL CIAD, UN NUOVO ALLARME SPAVENTA L’AFRICA (E IL MONDO)
Il rischio di un conflitto su scala mondiale è purtroppo tutt’altro che respinto pur con l’apertura a negoziati dei golpisti in Niger: il rappresentante della giunta in visiti in Guinea ha detto che il colpo di Stato ha avuto come fine di «salvaguardare la nostra nazione in quanto eravamo, insieme al popolo del Niger, molto preoccupati per i problemi di sicurezza nel Paese, che a loro volta hanno origine dalla corruzione endemica». Si apre ai negoziati, si cercano però anche sponde geopolitiche per un’eventuale guerra e soprattutto davanti alle richieste dell’Occidente di liberare Bazoum si replica con un atto durissimo.
«Il governo del Niger ha raccolto le prove necessarie per processare davanti alle autorità competenti il presidente deposto e i suoi complici locali e stranieri per alto tradimento e per aver minacciato la sicurezza interna ed esterna del Niger»: così hanno dettato i golpisti in merito al processo con accusa di alto tradimento formulata contro il presidente deposto Mohamed Bazoum e gli altri membri dell’ultimo governo eletto democraticamente. I golpisti denunciano quella che considerano una «campagna di disinformazione» messa in atto da Ecowas e Occidente per provocare il “fallimento” dei negoziati sulla crisi politica, tesi a «giustificare l’intervento militare»: contestano infatti di aver sequestrato e tenuto in cattive condizioni di salute Bazoum, respingendo le accuse occidentali facendo sapere che dopo l’ultima visita del medico lo scorso sabato «non sono stati rilevati problemi nel suo stato di salute». Non solo, Tchiani e la giunta del Niger contestano le sanzioni «illegali, disumane e umilianti» da parte dell’Ecowas contro Niamey.
In tutto questo contesto è l’intera regione del Sahel ad essere messa a dura prova dopo le innumerevoli tensioni anche del recente passato e con la spada di Damocle di una guerra potenzialmente esplosiva tra le diverse nazioni dell’Ecowas con sullo sfondo sempre la sfida a distanza Nato-Russia. Secondo però un ultimo rapporto dell’agenzia Fides, non è purtroppo solo il Niger a preoccupare nel futuro del Sahel: «Un imponente flusso di profughi generato dai combattimenti adesso si riversa verso il Ciad, cuore strategico del Sahel e porta d’accesso verso la Nigeria e il Camerun, mettendo a repentaglio la stabilità dell’intera regione». Secondo il rapporto stilato in questi giorni, dal 15 aprile 2023 «in Sudan, è in corso un drammatico scontro armato tra fazioni rivali, comandate da due generali che si contendono da anni il potere. Questa guerra fratricida sta provocando in tutto il Paese la fuga della popolazione verso i Paesi limitrofi, in particolare verso il Ciad. Attualmente, oltre 30.000 persone del Darfur sudanese hanno trovato rifugio nelle province confinanti del Ciad», sottolinea don Fabio Mussi del Vicariato di Mongo in Ciad.