Una delle impensabili esperienze che mi sono capitate quando insegnavo all’Istituto di Diplomazia di Astana (oggi Nur Sultan) è stata quella di incontrare grosse personalità provenienti dal mondo sovietico tra cui Lavrov, Tokaev (attuale presidente del Kazakistan, ndr) e Gorbaciov. Proprio quest’ultimo venne due volte a tenere una lezione ai futuri diplomatici dell’Asia Centrale.
La seconda volta, non direttamente, perché non volevo espormi troppo, ma attraverso un mio studente, gli feci a una domanda: “Ci scusi, Mikhail Sergeevich, come mai lei che aveva un grande progetto politico non è riuscito a realizzarlo e Lech Walesa, che non ne aveva uno preciso, in un certo senso è riuscito nel suo intento?”.
La risposta, accompagnata da un amaro sorriso fu di una straordinaria onestà intellettuale: “Certo Walesa non aveva alcun progetto politico generale, ma aveva con sé il popolo, io avevo un grande progetto, ma alla fine ho dovuto constatare che non avevo con me il popolo”.
Già, lui, che nel maggio del 1991 credeva di avere il consenso della gente per l’ampia vittoria ottenuta nel referendum, dovette accorgersi, durante l’estate, che il popolo, di fatto, lo aveva lasciato al suo destino, mentre l’Unione Sovietica, che lui voleva riformare (perestroika), si andava rapidamente dissolvendo.
Tutto si compì attraverso scontri di diverse fazioni politiche, senza che il popolo fosse coinvolto se non a posteriori.
Non cadde nessun muro di Berlino, non ci fu nessuna rivolta popolare. Semplicemente la gente, oppressa dai problemi economici e abituata a seguire le indicazioni dall’alto, non fece nessuna rivoluzione, mentre molti dirigenti del Partito già cominciavano a trasformarsi in quelli oligarchi che ormai conosciamo.
Quando il 25 dicembre (che là non è Natale) Gorbaciov, ad Almaty, firmò la fine ufficiale dell’Unione Sovietica, questa ormai non esisteva più e molte Repubbliche avevano già dichiarato la loro indipendenza proprio da qualcosa che, appunto, non esisteva più.
Mikhail Gorbaciov credeva nell’Unione Sovietica, credeva nella possibilità di una sua riforma radicale.
Aveva già introdotto una piccola-grande riforma, quella di privatizzare le piccole imprese, soprattutto nel campo del commercio, perché si era accorto che l’immenso carrozzone burocratico statale rendeva impossibile la vita dei cittadini riguardo alle loro necessità elementari.
Qualcuno dice che era stata più che un’innovazione, una specie di ritorno alla Nep di Lenin. Comunque si aspettavano i passi successivi della perestroika, mentre l’applicazione del principio della glastnost’ (trasparenza) aveva cominciato a portare una ventata di libertà in settori, tra cui quello della religione, che prima non si poteva immaginare.
In questo campo il fatto più evidente era stato il funerale della sua amatissima moglie Raissa, il primo e unico funerale religioso di una moglie di un segretario generale del Partito comunista, a cui Mikhail aveva partecipato commosso e incurante dell’imbarazzo di molti suoi compagni.
Gorbaciov, come Dubcek, forse, credeva nella possibilità di un socialismo dal volto umano, alternativo, ma non conflittuale col capitalismo occidentale.
Persa ormai la speranza di arrivare a quella fase dello sviluppo della società socialista che si chiama comunismo, voleva una società dove in qualche modo non andassero perduti quei principi di solidarietà a cui in fondo anche lui era stato educato.
Appunto, ancora una volta la questione educativa. Nel suo mancato rapporto col popolo era emersa una mancanza di educazione. La propaganda non è educazione del popolo. Non si può obbligare il popolo a fare il bene, a diventare migliore con l’imposizione.
Così era successo con la lotta organizzata contro l’alcolismo, piaga endemica del popolo russo, e non solo.
Aveva fatto, ad esempio, distruggere i bei vigneti della Kirghisia, ignorando che esiste una cultura del vino ben diversa da quella della vodka, che alla fine era rimasta l’ultima spiaggia di un popolo incattivito.
Sulla questione di Chernobyl non era stato capace di sottrarsi alla logica dello statalismo, secondo la quale gli organi dello Stato decidono a priori quello che è bene per la gente e ciò che le si può dire. Comunque, lui, il suo progetto pieno di buone intenzioni, ce l’aveva. Ma proprio il perseguire, cercare di imporre un progetto a scapito della realtà è stato il suo limite.
Ora ritrovando la sua Raissa, una donna intelligente, che gli era sempre stata accanto in un modo propositivo, forse si sentirà dire: “Io te l’avevo detto”.
Ma ormai là dove ben altri errori possono essere perdonati, troverà quella pace vera che non dipende dal premio Nobel che pure aveva ottenuto.
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