Giuseppe Conte chiede “un atto d’amore” alle banche italiane, perché facciano “un grande sforzo per erogare liquidità alle imprese che hanno bisogno”. La verità, ci spiega un banchiere che chiede di mantenere l’anonimato, è che le banche uno sforzo lo stanno già facendo. Perché se è vero che, secondo quanto previsto nel decreto liquidità, per avere un credito fino a 25.000 euro con la garanzia pubblica del 100% è sufficiente un’autocertificazione, senza alcuna istruttoria, è altrettanto vero che questo documento “potrebbe non bastare a liberare la banca dalla responsabilità penale per eventuale bancarotta o per concorso nel ricorso abusivo del credito. Dovremmo chiudere gli occhi se abbiamo qualche dubbio in merito e affidarci a un pezzo di carta?”.
Il problema della manleva, già sollevato dall’Abi, non sembra quindi essere limitato alle somme superiori ai 25.000 euro. In tutti casi, poi, la garanzia pubblica, anche se al 100%, rappresenta “un atto di fede”, perché, sottolinea ancora il banchiere, “non è chiaro in quanto tempo lo Stato, in caso l’azienda non rimborsasse il prestito, interverrebbe per restituire tale importo alla banca, che nel frattempo avrà dovuto anche effettuare degli accantonamenti sulle somme prestate”. I persistenti ritardi con cui la Pubblica amministrazione salda i suoi debiti verso le imprese non sono certo in questo senso confortanti.
Il decreto liquidità sembra poi dimenticare tutte quelle imprese che già prima della pandemia erano in difficoltà e avevano dato vita a dei piani di ristrutturazione: chi potrà concedere loro del credito anche se si accelerassero i tempi delle pratiche? Il problema di fondo sembra essere proprio quello di affidare la risoluzione dei problemi di liquidità e patrimonializzazione che molte imprese avranno al solo canale del credito, a soldi cioè che andranno restituiti. Meglio sarebbe utilizzare uno schema che comprendesse stanziamenti a fondo perduto.
Per esempio, spiega il nostro banchiere, “anziché garantire un prestito da 25.000 euro a una piccola azienda, lo Stato farebbe meglio a dargliene direttamente 15.000 a fondo perduto, aiutandola così a sostenere quei costi che i ricavi azzerati o in discesa non potranno coprire. Senza illudersi che possano esserci margini di guadagno per rimborsare i prestiti”. Per le aziende più grandi, la soluzione potrebbe essere sempre quella di risorse a fondo perduto, “a fronte però di una somma di pari importo versata dagli azionisti per ripatrimonializzare l’impresa e darle la possibilità così di continuare a stare sul mercato, di vendere i suoi prodotti, pagare le imposte e gli stipendi ai suoi dipendenti: tutte cose che direttamente o indirettamente aumentano il gettito fiscale, oltre che il Pil, andando pertanto a migliorare i conti pubblici”. Forse quindi quell’atto d’amore, invocato dal Premier, dovrebbe essere in primo luogo compiuto dallo Stato. In altri Paesi europei non è stato forse fatto così?