Cresce l’attesa per i dati sull’inflazione di febbraio e per le conseguenti decisioni della Bce, non tanto e non solo nella riunione del Consiglio direttivo in programma il 16 marzo, ma anche in quelle successive, in particolare a luglio. In quell’occasione, infatti, verrà deciso con quali modalità portare avanti la riduzione dei riacquisti dei titoli di stato cominciata proprio nell’attuale mese di marzo.
Come spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, “gli ultimi dati sull’inflazione sembrano complicare il dibattito in vista della prossima riunione del Consiglio direttivo della Bce”.
Perché?
Perché le aspettative di mercato vedono sì un’ulteriore diminuzione dell’inflazione complessiva grazie al calo dei prezzi energetici, ma l’inflazione di fondo, depurata, quindi, dalle componenti più volatili come i beni alimentari e le materie prime energetiche, negli ultimi mesi ha continuato a salire. Questo quadro fornisce un alibi potente a coloro che invocano ulteriori e significativi rialzi dei tassi dopo marzo, con un tasso terminale che gli operatori di mercato vedono sempre più vicino al 4% e non più al 3%.
Intanto sta prendendo il via la riduzione, pari a 15 miliardi al mese, dei riacquisti di titoli di stato detenuti dalla Bce.
Innanzitutto va ricordato che quando si parla di rimodulazione del programma di riacquisto ci si riferisce al Pspp, il programma non convenzionale di acquisto, e ora solo di riacquisto, dei titoli di stato. Per quanto riguarda il Pepp, il programma non convenzionale introdotto in seguito alla crisi pandemica e anch’esso dismesso, i riacquisti dei titoli in scadenza resteranno invariati fino al 2024. Secondo gli ultimi dati disponibili, che risalgono a fine gennaio, nell’ambito del programma Pspp le consistenze di titoli di stato italiani in portafoglio della Bce sono di poco superiori ai 442 miliardi di euro, mentre i riacquisti netti effettuati in quel mese sono stati negativi per 982 miliardi. Un dato in parte mitigato da quanto avvenuto nell’ambito del Pepp, dove, a fronte di uno stock di quasi 288 miliardi di titoli di stato italiani, i riacquisti sono stati positivi per 631 miliardi. La somma algebrica dei saldi dei riacquisti netti, pari a -351 miliardi, ci dice sostanzialmente che, nel mese di riferimento, è diminuita la quota di titoli di stato italiani detenuti dalla Bce.
In che modo la riduzione dei riacquisti di titoli di stato favorisce la diminuzione dell’inflazione?
L’inflazione nel lungo periodo è determinata dalla quantità di moneta in circolazione. Il fatto che non vengano riacquistati più titoli consente alla Bce di drenare liquidità, restringendo la quantità di moneta nel sistema e creando così le premesse, unitamente all’incremento del costo del denaro, per un rientro dall’inflazione. Questo è, tuttavia, il legame classico da libro di testo. Nel caso dell’Eurozona, un’unione monetaria tra Paesi economicamente eterogenei, un ruolo proattivo della Bce nel mercato secondario dei titoli di stato rappresenta una sorta di bastione contro indebite pressioni speculative. È quindi importante capire quale sarà la decisione della Bce all’inizio della prossima estate riguardo l’ulteriore calibrazione della politica dei riacquisti. In particolare, bisognerà vedere se, a fronte di sviluppi indesiderati sul fronte inflazionistico, l’Eurotower reagirà annullando del tutto i riacquisti.
Che conseguenze ha questa riduzione dei riacquisti dei titoli di stato per le banche italiane?
Potenzialmente importanti, perché i titoli di stato italiani costituiscono una componente significativa degli asset del sistema bancario. Il venir meno di un compratore sistematico come la Bce potrebbe introdurre una maggiore volatilità nel mercato e creare condizioni potenzialmente più turbolente, accrescendo il rischio associato alle azioni bancarie. Accanto a questo occorre considerare un altro elemento che ha condizionato la dinamica di mercato nell’ultimo periodo.
Quale?
Il fatto che l’aspettativa degli investitori, in Europa come negli Stati Uniti, era che le Banche centrali, a fronte delle dinamiche inflazionistiche nelle rispettive economie, avessero compiuto già una buona parte del percorso verso il tasso terminale. Questa percezione aveva indotto molti investitori a riposizionarsi di conseguenza e comprare titoli di stato. Se gli ultimi dati sull’inflazione indurranno a rivedere le aspettative degli operatori di mercato sul tasso terminale, chiaramente questa strategia da parte degli investitori potrà essere riconsiderata.
Per le banche, quindi, i titoli di stato diventerebbero meno appetibili…
Esatto. Il sistema si dovrà riaggiustare su un nuovo equilibrio che vedrà una presenza sempre minore della Bce, un player assai significativo nel caso italiano, dato che è arrivato a classare tra un terzo e un quarto del nostro debito pubblico.
A cascata tutto questo pone ulteriore pressione al Tesoro che quest’anno deve emettere più titoli rispetto al passato e con meno acquirenti.
Sì, questo si tradurrà in una richiesta di maggiori rendimenti. Proprio per facilitare il classamento delle prossime emissioni è importante che i mercati percepiscano che il sentiero del rapporto debito/Pil si mantenga su una traiettoria discendente. Ciò implica che vi siano delle prospettive di crescita non anemica in Italia.
A livello politico ci sarà la necessità di non avere frizioni con l’Ue.
È ovvio che una componente dei rendimenti richiesti, soprattutto per le emissioni a lungo termine, tende a coprire il rischio politico. Nella misura in cui questo rischio venga percepito come minimo, i rendimenti richiesti saranno inferiori a quelli che altrimenti verrebbero imposti dal mercato. C’è, quindi, bisogno di una strategia olistica in cui vengano ottimizzate le condizioni di brevissimo termine per soddisfare il buon esito delle emissioni e allo stesso tempo creare delle condizioni di contesto che stabilizzino le aspettative più a lungo termine di crescita sulla nostra economia da parte degli operatori, facilitando la collocazione dei titoli di stato italiani.
Per il Governo non sarà un compito semplice.
Rispetto ai suoi recenti predecessori, l’attuale Governo si trova ad affrontare delle condizioni di mercato strutturalmente diverse, visto che la Bce sta attuando un percorso restrittivo della politica monetaria per la prima volta da oltre un decennio. Le valutazioni su questo Governo da parte dei mercati sono state inizialmente benevole, vista la prudenza e la responsabilità fiscale mostrate. Andando avanti, oltre a questa qualità, l’Esecutivo dovrà però dimostrare una sempre maggiore incisività sulle politiche di crescita. I mercati non guardano il colore politico di un Governo, quanto piuttosto la sua capacità di garantire la solvibilità delle emissioni di titoli del debito.
(Lorenzo Torrisi)
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