“Siccome nel governo Draghi nessun partito è maggioranza e proprio perché c’è un governo che è frutto dell’iniziativa del Capo dello Stato, è venuto il tempo per un’iniziativa alta che le capacità e l’autorevolezza del presidente della Repubblica possono assumere: un messaggio alle Camere con cui si fissano i punti di riforma della giustizia”. Nel giorno in cui Piercamillo Davigo viene ascoltato dai pm di Roma per alcune ore in merito al “caso Amara”, Calogero Mannino, cinque volte ministro Dc, parte proprio dall’ultimo scandalo che coinvolge il Csm per fissare l’attenzione sulla questione cruciale: “Non c’è dubbio che il problema giustizia in Italia è diventato centrale per l’equilibrio democratico, per l’equilibrio costituzionale”.
Quanto, poi, ai botta e risposta continui tra il segretario del Pd, Enrico Letta, e il leader della Lega, Matteo Salvini, secondo Mannino, Letta insegue un disegno “apparentemente lucido, di fatto molto velleitario”.
Il “caso Amara” delegittima ancora una volta il ruolo del Csm. L’ennesimo episodio di una magistratura in crisi quanto può pesare sulla politica e dove può portare?
Non c‘è dubbio che il problema giustizia in Italia è diventato centrale per l’equilibrio democratico, per l’equilibrio costituzionale. Bisogna prenderne coscienza e affrontare la questione che va affrontata per quella che è.
In che modo?
C’è una linea di fondo da adottare.
Su quali basi?
È venuto il tempo per un’iniziativa alta che le capacità e l’autorevolezza del presidente della Repubblica possono assumere.
Ma molti osservatori non hanno potuto non constatare il silenzio di Mattarella su questa vicenda. Lei come se lo spiega?
Con la sua prudenza. Sulla vicenda Amara, anche il ministro Guardasigilli, Marta Cartabia, rispetto a un’iniziativa di carattere disciplinare che le spetterebbe in quanto titolare della Giustizia, si è fermata, dando la precedenza, in modo politicamente logico, al Procuratore generale della Cassazione. Una mossa che non può essere letta come prudenziale, bensì sottolinea l’urgenza di definire questo quadro della funzione del Csm e della funzione disciplinare che non può essere esaurita dallo stesso Csm.
Torniamo all’iniziativa alta di cui parlava prima. Cosa dovrebbe fare Mattarella?
Un messaggio alle Camere con cui si fissano i punti di riforma.
Quali sono?
Bisogna riformare il Csm, bisogna riformare il suo sistema elettorale, bisogna riformare il codice di procedura penale. In primo luogo, se non c’è una disciplina della figura e della funzione del pubblico ministero nella costruzione del processo, non verremo a capo mai di niente: quali e quanti poteri? Fino a che tempo il pm può organizzare un’istruttoria? Le cito un numero: il 53% del monte delle prescrizioni accertate nei tribunali dipendono dai ritardi delle indagini preliminari, cioè solo dai pubblici ministeri.
Altri punti dirimenti?
La figura del Gip, che finora si è rivelata pleonastica, nel senso che anticipa lo svolgimento del processo, ma non lo può decidere. E questi due problemi preliminari ne presuppongono un terzo ancor più preliminare.
Sarebbe?
Il pm deve stare in un ruolo della magistratura indistinta o deve essere collocato in un ruolo distinto?
Ma la politica può sciogliere questi nodi?
Siccome nessun partito è maggioranza e proprio perché c’è un governo che è frutto dell’iniziativa del presidente della Repubblica, occorre – lo ripeto – un’iniziativa alta del Capo dello Stato.
Dopo 30 anni, da Tangentopoli a oggi, in cui il mantra dominante è stato quello di una giustizia a cui doveva spettare il compito di risanare una politica inefficiente e corrotta, è ora venuto il momento in cui potrebbe toccare alla politica riformare la magistratura?
Senza dubbio: non contro, ma la politica e il Parlamento hanno una funzione di rappresentanza stabilita dalla Costituzione. Bisogna prendere atto che si è chiuso il tempo di quella marcia non verso l’autonomia della magistratura, ma verso la sua politicizzazione, all’inizio strumentalizzata dal Pci. Le correnti della magistratura oggi sono dei cavalli senza briglie e sono proprio loro che hanno massacrato l’autonomia della giurisdizione, perché è emerso un ruolo debordante delle procure che si riflette sulla vita del Csm e sulla vita di tutta la magistratura.
Veniamo alla maggioranza che sostiene il governo Draghi. Dopo l’ennesima lite tra Letta e Salvini, dove vuole arrivare il Pd con questo stillicidio di fibrillazioni?
Bisogna tenere conto che il Pd è arrivato al governo Draghi non per scelta o per convinzione, ma per necessità, in quanto Conte aveva perduto la maggioranza. Il presidente della Repubblica, dopo aver verificato l’inesistenza della maggioranza facente capo a Pd e M5s, ha trovato che sul nome di Draghi, come governo per questo momento straordinario che il paese sta vivendo, ci sarebbe stata anche la convergenza di Salvini. È quindi un governo nato per iniziativa del Capo dello Stato e non per iniziativa dei componenti della maggioranza. Ciascun componente della maggioranza è conflittuale all’altro.
In questo governo che ha una maggioranza di diversi contrapposti, a quale obiettivo mira il logoramento messo in atto da Letta e dal Pd?
Letta progetta di estromettere Salvini dalla maggioranza, facendogli perdere la pazienza.
Ma così non si logora lo stesso Draghi?
L’obiettivo di Letta non è mettere in crisi il governo Draghi, perché Letta vuole arrivare con questo governo fino alle elezioni del 2023. In questa fragile convinzione Letta si illude intanto di stringere con un lucchetto il rapporto con il M5s, si illude di portar via Forza Italia dal centrodestra, se non tutta almeno una parte, e si illude che con i voti di M5s, Pd e Forza Italia si crei il nucleo forte per una candidatura al Quirinale. Il vero obiettivo di Letta non può che esser la rielezione di Mattarella, perché sulla sua rielezione Salvini potrebbe non essere bastian contrario pregiudiziale, però non costretto a bastonate.
Perché le chiama illusioni?
Il disegno di Letta è apparentemente lucido, ma di fatto molto velleitario, perché ignora che i gruppi parlamentari per l’elezione del Capo dello Stato nella storia di questa Repubblica non hanno mai corrisposto ai disegni preordinati delle segreterie.
Rischia però di creare difficoltà al governo, che ha compiti assolutamente ardui.
Letta difficilmente può discostarsi dalla sostanza del progetto politico che per comodità chiamiamo “di Bettini”, anche se lo stesso Letta lo ha aggiornato spostandolo in direzione del centro e lasciando l’estrema sinistra fuori. Letta ha un rapporto con Prodi e D’Alema, quindi è dentro la linea enunciata da Bettini.
Ci sono alternative a Draghi?
Un logoramento del governo Draghi, se non ci fosse il semestre bianco, porterebbe alle elezioni anticipate. Sarebbe nella natura delle cose. Credo però che Letta voglia far andare Draghi non a passo spedito, ma affaticato: non vuole affatto semplificargli la vita. Letta è stato il primo ad aprire il fronte degli obiettivi diversi da quelli della maggioranza di governo, dallo ius soli alla legge Zan.
Incontrando Draghi, Letta ha contestato il “metodo Salvini”, però il Pd sembra aver smarrito la capacità di fare proposte concrete. È così?
Probabilmente Letta alza il tono e il livello dello scontro con Salvini per coprire le proprie difficoltà, a partire dall’avvicinarsi delle elezioni amministrative. Letta non riesce ancora a trovare la soluzione per le grandi città in cui si andrà al voto, perché l’alleanza con i Cinquestelle c’è e non c’è.
Se la Raggi non fa un passo indietro, per il Pd di Letta, che cerca un’alleanza, il M5s resta e resterà un problema.
Paradossalmente anche il rapporto fra Pd e M5s è conflittuale, perché la base dei Cinquestelle vede il Partito democratico come rivale. E quando parlo della base, mi riferisco appunto alle situazioni amministrative, che sono un tema incandescente. Basti pensare proprio al caso Raggi: il M5s cede sulla sua ricandidatura? Su Napoli che cosa succede? Quanto a Milano, Sala è fuggito approdando ai Verdi proprio per evitare i problemi interni del Pd e il confronto con i Cinquestelle, verso i quali si pone esplicitamente come antagonista.
E se a guidare il M5s fosse Conte, queste difficoltà non rischiano di aumentare?
Se Conte dovesse riuscire a ricapitolare nelle proprie mani il patrimonio elettorale e il personale dei Cinquestelle, certo non avrebbe l’ambizione di fare il secondo a nessun leader del Pd. Del resto, Conte si è sentito dire che era il leader unificante di M5s e Pd. Che cosa fa, accetta la retrocessione?
Un’ultima domanda: nella gestione di questa fase di riapertura come valuta le mosse di Draghi?
Mi sembra che abbia fatto la scelta più opportuna e meditata. Con questa e altre decisioni devo riconoscere che si sta muovendo in mezzo a queste grandi difficoltà con equilibrio, intelligenza e visione strategica, anche in ordine all’emergenza Covid. Rifiuta ogni avventurismo e sperimenta cautamente gli spazi su cui si può avanzare in direzione delle riaperture, perché sa che il terziario è importante per l’economia italiana.
(Marco Biscella)
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